Letizia Russo interpreta con acume l'annoso caso di Katharina Blum. Ottimi interpreti della Compagnia del Teatro Stabile del FVG per articolare l’ordito drammaturgico dell’inchiesta a tema impiantata dal regista Franco Però.
Procedendo a ritroso, come in una vicenda tragica di cui venga subito raggiunta l’acme per poi verificarne le implicazioni etiche, l’annoso caso Blum ci viene presentato dal momento in cui la vittima, resasi colpevole di omicidio ai danni del proprio carnefice morale con la brutalità dettata dalla disperazione, pone un argine alla violenza perpetrata ai suoi danni da un ordinamento sociale privo di giustizia, dall’etica capovolta.
La consueta sceneggiatura d’impatto dell’adattamento di Letizia Russo interpreta con acume le pagine di quello che l’autore e premio Nobel Heinrich Böll aveva definito un “pamphlet” contro le storture della società tedesca postbellica del secondo Novecento, restituendoci una drammaturgia polifonica, dal vivace piglio argomentativo. Le aberrazioni cui può condurre un’errata gestione dei moderni mezzi di comunicazione di massa non disgiunta dalle logiche occulte della propaganda alla base di certe campagne mediatiche sono i nodi problematici che L’onore perduto di Katharina Blum riesamina alla luce della cronaca di una vita altrimenti anonima: e i quattro giorni del destino nell’infelice esistenza della protagonista, rivissuti all’insegna della vorticosa girandola dei ricordi, ne sospingono il dramma individuale verso i contorni di un affresco storico- sociale che lascia interdetti.
«Come può nascere e dove può condurre la violenza»
La glossa pungente inserita come sottotitolo del testo omonimo prospetta la provocazione di fondo, per cui, in un crescendo di simpatetica compartecipazione, non si possa non provare un moto di istintiva solidarietà nei confronti del personaggio centrale che, nel crescendo degli eventi, acquista la controversa caratura dell’eroe. Con una ferrea padronanza del mezzo espressivo, in una monumentale prova d’attrice, per ben 120 minuti Elena Radonicich rende conto dell’implacabile autocontrollo con cui Katharina Blum - orfana precoce e privata in tenera età degli affetti domestici- abbia rimediato allo svantaggio originario puntellandosi di solide certezze che non contemplano la tenerezza dell’amore né il lasciarsi andare ai sentimenti, sino ad ergersi a paladina di un algido ordine morale nel ruolo di governante modello.
Ma la tracotanza dell’invulnerabilità opposta dalla donna come rimedio ai danni inferti dalle disparità sociali svanisce nell’incontro sbagliato di una sola notte e il corollario di una sfortunata concatenazione di sequenze completa l’avverarsi della profezia di cui ella è facile capro espiatorio.
Se uno scoop vale una vita
Sdoppiamento del personaggio che commenta le proprie azioni alla luce dell’esperienza maturata, inserzioni fuoricampo di voci narranti per martellare l’incalzante susseguirsi dei fatti ricalcato sullo stile dei titoli urlati dalle testate scandalistiche, rapida alternanza di quadri dialogici che ripescano a sprazzi nell’affastellarsi convulso dei ricordi, mentre un separé di velatino mobile, articolato su più livelli, viene spostato all’occorrenza per agire allo stesso tempo su diversi livelli scenici, separati nel tempo e nello spazio: sono alcuni degli espedienti ben rimaneggiati dagli ottimi interpreti della Compagnia del Teatro Stabile del FVG per articolare l’ordito drammaturgico dell’inchiesta a tema impiantata dal regista Franco Però.
Nella caratterizzazione dicotomica dei personaggi, tra mediocri compromessi, squallidi aguzzini e persone ancora capaci di umanità, si distingue l’emozionante Peppino Mazzotta: nel ruolo del giusto appartenente all’olimpo dei buoni, egli è indirizzato all’autodistruzione da una società che non perdona la purezza d’animo; per l’intera messinscena gli fa da contraltare lo stolido Tötges, prototipo del giornalista d’assalto, la cui proverbiale turpitudine è resa secondo deformanti movenze espressionistiche sconfinanti nel grottesco. Non basterà la sua fine a ristabilire la verità dei fatti, l’oltraggio al giusto diritto di cronaca, ad espiare i torti di un mondo che preferisce non sapere.