Fabio Avaro

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Spettacoli

TITOLO PROVVISORIO e non solo il titolo
TITOLO PROVVISORIO e non solo il titolo
Un per cento
Un per cento
Ce lo chiede l'Europa
Ce lo chiede l'Europa
Re-Fusi. Combatti l'ignorantezza!
Re-Fusi. Combatti l'ignorantezza!
Bravi voi io è una vita che vi seguo
Bravi voi io è una vita che vi seguo
I tre moschettieri
I tre moschettieri
Scusa sono in riunione, ti posso richiamare?
VANESSA INCONTRADA, GABRIELE PIGNOTTA
Scusa sono in riunione, ti posso richiamare?
Siamo tutti comunicatTivi
Siamo tutti comunicatTivi
Una notte bianca
Una notte bianca
Unpercento - Punizione ad affetto
Unpercento - Punizione ad affetto
Uomini stregati dalla luna
Uomini stregati dalla luna
Storie bastarde
Storie bastarde

Contenuti redazionali

'Pignasecca e Pignaverde' di Govi rinasce con Solenghi: la comicità amara del genovese avaro
Il Pignasecca e Pignaverde di Gilberto Govi, resuscitato da Tullio Solenghi: come dire lo stereotipo dell’avarizia genovese portato al parossismo, e reso iperbolico dallo svisceramento di ogni particolare. In scena tutto è volto a costruire questo quadro, ogni singola parola arricchisce e definisce l’immagine di questo commerciante tirchio per antonomasia, fino a renderlo paradossale: e quindi simpatico, tenero, inoffensivo e forse più vicino a noi di quanto ci piacerebbe ammettere.L'importanza di essere Gilberto GoviSolenghi non ha inventato nulla: ha solo clonato il Gilberto Govi originale e la sua recitazione. In questo Pignasecca e Pignaverde, però, Tullio Solenghi è andato oltre. Non solo ha clonato il protagonista: è riuscito a clonare anche il pubblico, ricreando quasi del tutto la speciale alchimia che si creava in sala tra la compagnia di Govi e il pubblico. Moltissime interruzioni per applausi a scena aperta, l’attesa per la battuta dove si sapeva che sarebbe arrivata, le risate negli stessi identici punti della celebre registrazione RAI del 1957.Il progetto scenografico originale di Davide Livermore è stato riprodotto con efficacia da Anna Varaldo, che è anche costumista: perfetti e conformi all’originale gli abiti dei vari personaggi. Per fortuna gli attori non sono microfonati: come succedeva una volta. L’empatia con il pubblico ringrazia, e la voce arriva nelle ultime file senza filtri.In questo spettacolo la parsimonia è anche visiva. Nessun colore, tutto sulle sfumature del bianco e del grigio; nessun oggetto scenico in movimento, tranne due porte (usate poco); nessun effetto luminoso né sonoro. La scena disegna un quadro di decoro austero, dignitoso, composto. E’ tutto pulito, in ordine, lineare: ma anche immobile ed emotivamente povero. Il basso profilo voluto dal contegno genovese sparagnino si ripercuote anche sulla narrazione: non succede nulla, a parte la descrizione atomizzata delle tirchierie del protagonista. Felice Pastorino è il fulcro di tutto. La recitazione degli altri personaggi – i tipi umani della commedia - serve a mettere in evidenza il padrone di casa: e sono comprimari perfetti. Hanno spessore drammatico solo la moglie Matilde (Claudia Benzi) e la cameriera Lucia (Stefania Pepe) che tiene testa al padrone: e in questo sembra l’unica in grado di concepire uno stile di vita alternativo a quello di Pignasecca e la sua famiglia. La comicità amara del genovese avaroNel primo atto, infatti, anche la figlia Amalia (Laura Repetto) è conforme a questo mood etico ed estetico: i suoi accenni di ribellione sono puramente esteriori, ipotetici. Ma Pignasecca Pignaverde non è i Maneggi per maritare una figlia, anche se l’argomento è più o meno similare. Qui lo spessore drammatico è superiore, il dilemma etico rilevante, la risata più amara e sconsolata. Felice Pastorino si aggrappa al modus vivendi che lo accompagna da quando è nato, come se si legasse a uno scoglio nel mare in tempesta del cambiamento. Pastorino è Felice di nome e dolente nella realtà. Sotto sotto si rende conto che il suo mondo è al tramonto, stravolto dal nuovo che avanza. Felice Pastorino vuole far sposare la figlia Amalia a suo cugino Alessandro Raffo (Mauro Provano), tirchio come lui: ma dentro di sé lo sa che lui e suo cugino sono personaggi residuali di un mondo destinato a cambiare in tempi brevi sotto la spinta di forze nuove e formidabili come quelle che arrivano dall’America. Il denaro non arriva più dalla parsimonia ma dalla spregiudicatezza imprenditoriale. Eugenio Devoto (impersonato da Matteo Traverso), giovane ex spasimante di Amalia che ha fatto fortuna in Argentina, e il suo datore di lavoro Manuel Aguirre (Stefano Moretti) stravolgono il salotto di casa Pastorino emotivamente e anche fisicamente, con i loro movimenti energici e la parlata decisa: che fanno contrasto con le movenze compassate e i mezzi toni della voce nei genovesi. Il cambiamento psicologico ed emotivo non arriva come un fulmine a ciel sereno, ma un passo dopo l’altro. Lentamente ma inesorabilmente. All’inizio i personaggi sono statici come i loro soprammobili, poi tutto cambia sempre più velocemente. Nel secondo atto la figlia prende in mano il suo destino e finge di scappare di casa con la complicità di tutti (madre compresa, che fa il salto emotivo per prima) per mettere alle strette il padre. Il vicino di casa, genovese anche lui ma già imprenditore moderno ed esuberante, funge da catalizzatore e rende irreversibile il processo di mutamento dei tempi e dei costumi. Alla fine (spoiler) Felice Pastorino deve fare buon viso a cattivo gioco, soprattutto per l’amore che ha nei confronti della figlia, e si accontenta dei contentini formali che gli danno. Non a caso l’unica variazione della scenografia arriva a questo punto: le luci si abbassano; la famiglia si riunisce attorno alla televisione, il nuovo caminetto; i due fidanzati, finalmente liberi e felici, si baciano alla luce di uno spot che scende su di loro: ad indicare il nuovo e diverso futuro che li attende. 
Storie Bastarde: la forte presenza scenica di Fabio Avaro
La trasposizione teatrale del testo è riuscita. Attraverso l’espediente pirandelliano del teatro nel teatro, si cattura l’attenzione fin dai primi minuti. Fabio Avaro è un instancabile protagonista-narratore.
Un avaro di Molière... abruzzese!
Davvero comico ed originale lo spettacolo proposto da Stefano Angelucci Marino! Il ben noto testo dell'”Avaro” scritto da Molière più di 3 secoli fa, infatti, è stato oggetto di una rielaborazione sia nel genere teatrale che sotto l'aspetto linguistico. La messinscena, un atto unico della durata di un'ora circa, è stata a dir poco versatile, dato che ha spaziato dalla tradizione al teatro di marionette alla commedia dell'arte, ed ha visto come ulteriore condimento scenico gli abiti e le musiche settecentesche, rese vicine e ancor più comicamente familiari al pubblico (per lo più aquilano) di Teatro Zeta, attraverso la traduzione delle battute molièriane in dialetto della costa abruzzese. Pochi gli attori-personaggi in scena: solo 3 (Arpagone e i suoi servi), con Angelucci Marino nei panni del vecchio padre, tanto tirchio quanto avido di sesso e soldi. A fare il ruolo dei suoi figli, cioè Cleante ed Elisa (e a volte dello stesso Arpagone) c'erano le marionette (vestite anch'esse in maniera settecentesca e dialoganti in dialetto abruzzese) che sono state abilmente manovrate sull'alta sedia-trono di Arpagone e nei tableuax della porta che, posta al centro del palcoscenico, costituiva (insieme alla sedia), l'elemento scenografico dello spettacolo. Da questa porta ha fatto il suo ingresso ufficiale Frosina, interpretata da Tommaso Bernabeo, per un'inaspettata scena scabrosa nello spettacolo. Infatti, con le tecniche esagerate dell'antica commedia dell'arte, sono state inserite nello spettacolo delle vere e proprie scene dei seduzione a luci rosse (erano rosse anche le luci di scena) che, però, come da tradizione molièriana, non hanno distolto Arpagone dalla sua mano protettiva sul denaro. L'allestimento, nonostante l'unità tematica del testo (e del linguaggio!) e la bilanciata alternanza scenica tra i tradizionali soliloqui/dialoghi di Arpagone in persona e delle marionette, ha visto anche la presenza di due scene ben definite e in contrasto con la bonarietà ed ingenuità visiva di quelle precedenti: la scena a luci rosse e la scena al buio (forse un po' lunga) di Arpagone che freme per la difesa dei suoi averi. L'avarizia di padre-padrone è stata messa in scena fino agli estremi: egli è stato il vero e unico protagonista della pièce che è stata sfoltita di tutti gli altri elementi e personaggi. Lo spettacolo è terminato con il monologo in cui il vecchio avaro, derubato dei suoi preziosi denari, si domanda come facciano i suoi poveri soldi a vivere senza di lui! L'idea delle marionette è stata davvero azzeccata! Un po' meno lo è stata l'introduzione delle due scene a contrasto (quella a luci rosse e quella senza luci) perché, stilisticamente distanti, erano troppo ravvicinate tra loro, rispetto alle scene delle marionette. Apprezzabile anche la comica trasposizione linguistica al dialetto abruzzese. Bravissimi gli attori. Consiglio lo spettacolo a chi apprezza la ruvidezza psicologica di Molière a chi ama le marionette e i revival vicini alla commedia dell'arte. Ed infine a chi si diverte a veder rappresentate commedie famose in stili registici e linguistici diversi dal consueto!  
Un attuale ed entusiasmante 'Avaro'
Sullo scorcio della stagione 2013/14 non si può non ribadire che il Teatro Carcano ha offerto deliziosi cammei teatrali, frutto non solo di fortuna, ma di un’oculata e saggia scelta che anche nell’attingere al classico ha proposto spettacoli fedeli all’originale, eppure diversi, piacevoli e godibilissimi. È il caso de 'L’Avaro', famosa commedia del 1668 scritta da Molière (pseudonimo di Jean Baptiste Poquelin, Parigi 1622-1673) ispirandosi all’Aulularia di Plauto che non tratta il tema dell’amore. Il commediografo provvisto di una cultura superiore rispetto a quella della classe di appartenenza (il padre è tappezziere del re) è un acuto osservatore della realtà che ritrae sottolineando contesti e psicologia dei personaggi e fornendo note di modernità pur nei limiti di un’epoca in cui il re, anche se lo protegge, è pur sempre un sovrano assoluto. Arturo Cirillo, propone una lettura fedele letteraria e teatrale del testo (tradotto da Cesare Garboli) cui dà un ritmo serrato, veloce ed equilibrato accompagnando l’azione rapida con intermezzi musicali ed evidenziando anche dal punto di vista scenografico e delle luci l’aspetto noir e angusto di una vicenda in cui un padre-padrone avido, gretto, spilorcio e amante più dei suoi tesori che dei figli che rende prigionieri: straordinaria caricatura di un Arpagone schiavo di una maschera che lo consuma e lo depaupera. Coadiuvato da un ottimo cast che sta al passo con la sua vis attoriale, Cirillo-Arpagone si dimostra sapiente capocomico di un’azione che si dipana in un interno senza collegamenti con l’esterno, spazio chiuso degli animi che ne sono invischiati, prigione senza porte della società odierna avida solo di denaro. Raffinatissimi i costumi che rivelano quasi una dimensione atemporale, evidenziando l’eterna attualità di una vicenda che con sfumature diverse si ripete nella Storia rivelando una radice inestirpabile come ben dimostra il finale: resta da chiedersi se tale morbo, accompagnato da raggiri e inganni, gramigna dell’anima, non germinerà anche nei figli o in chi ha avuto a che fare con tale micragnosità e se oggi non sia ormai diventato epidemico visto che sono venuti a mancare contraltari morali e spirituali. Una pièce che appassiona e diverte proprio per la sua pungente ironia che la rende nuova, attuale ed eterna.
Uno strepitoso "Avaro"
Cosa rimane de ‘L’avaro’ - commedia scritta da Molière (pseudonimo di Jean Baptiste Poquelin, Parigi 1622-1673), commediografo e autore teatrale fornito di una cultura superiore a quella della classe di appartenenza (il padre era tappezziere del re), acuto osservatore della realtà che ritrae evidenziando contesti e psicologia dei personaggi e innovando il teatro pur nei limiti di un’epoca in cui il re, anche se protegge il Nostro, è ancora sovrano assoluto - nel frizzantissimo lavoro che la Compagnia Quelli di Grock propone per festeggiare il quarantesimo (aprile 2014) della sua fondazione? Fondata da ex allievi della scuola del Piccolo teatro di Milano con il nome del grande clown svizzero Grock, la Compagnia, con cui è nata anche un’ottima Scuola di Teatro, privilegia pantomima, fisicità e teatro-danza con cui ha riletto molti classici tra cui appunto L’avaro che inaugura le celebrazioni del quarantennale e mostra tutto l’equilibrio, l’eleganza e la grande e gioiosa inventiva di una carriera di ricerca e di sforzi. Poco importa, quindi, quanto ci sia di originale nello spettacolo comunque conservato perfettamente nella sua comprensione generale anche perché si tratta di un “teatro nel teatro”. Prendendo spunto dal poco rappresentato L’improvvisazione di Versailles (testo voluto proprio dal re Luigi XIV che si diverte per gli antagonismi degli attori) in cui Molière racconta la dicotomia uomo/attore con contrasti, miserie e tutto ciò che succede dietro le quinte ammiccando al pubblico che diviene quasi sodale, è stato ottenuto un fresco e brioso mélange in cui nulla stona o appare eccessivo e tutto risulta in linea con lo scalcinato e fatiscente teatro che fa da cornice al prodigioso gruppo di guitti. E se Pietro De Pascalis è uno strepitoso Arpagone spilorcio a livello cromosomico, non sono certo da meno quanto a bravura i giovani attori professionali e ben guidati dall’ottima regia di Valeria Cavalli e Claudio Intropido: nessuna caduta di tensione né tra gli attori, né nel pubblico costretto dal piacere della briosa e coinvolgente rappresentazione a restare sempre attento. E in questo abile, dinamico e preciso fluttuare tra finzione e realtà, teatro e vita e testo e contesto pure la platea diventa palco con uno spettatore cooptato come re tra il pubblico avvinto anche da costumi e musiche accattivanti.
Un avaro molto popolare
Il teatro comunale Luigi Pirandello di Agrigento alza il sipario della nuova stagione con L'avaro, il famoso capolavoro di Moliere. Il protagonista Arpagone, uomo spilorcio ed egoista, ricco borghese che vive a Parigi, a causa della sua avarizia costringe i suoi familiari a vivere ai limiti della miseria e a chiedere in prestito il denaro per ogni loro bisogno, al punto di ritrovarsi addirittura nei panni di usuraio nei confronti del figlio. Ma la mortificazione della progenie riguarda anche e soprattutto i loro sentimenti: per interesse sceglie lui i loro sposi e si scopre perfino a disputarsi la fidanzata del figlio. A vestire i panni di Arpagone è l'apprezzato attore siciliano Pippo Pattavina, che del taccagno e meschino personaggio ne fa una salsa catanese infarcita di sketch del suo noto repertorio cabarettistico. Ne viene fuori una figura che forse tradisce l'originaria volontà dell'autore francese. Perchè Arpagone/Pattavina fa della sua grettezza una esilarante arma di comicità, al punto d'apparire spesso simpatico: un adulterio nei confronti della volontà fustigatrice di Moliere, l'autore della 'svolta' verso il teatro moderno.  Un dissenso perdonabile, soprattutto da parte del pubblico, se d'altro canto si riesce a rendere  la rappresentazione 'popolare', divertente e 'allineata' alla 'vecchia' commedia dell'arte. Accanto a Pattavina non sono purtroppo risultati all'altezza gli altri protagonisti, forse per una 'stridula' impostazione dei personaggi, forse per la regia di Angelo Tosto che, volendo innalzare i ritmi, ha ottenuto il risultato di alzare, forse troppo, i volumi, i toni e la cadenza recitativa, con il rischio a volte dell'incomprensione. Alla fine comunque non sono mancati i calorosi applausi all'amato settancinquenne attore di Lentini, come non sono mancati alla giovanissima Cindy Cardillo che ha vestito molto bene i panni di Freccia, il giovinetto cameriere di Cleante, figlio di Arpagone. Unica nota veramente stonata di questa rappresentazione è stato l'orario:inizialmente spostato dalle ore 21,00 alle ore 19,30, il sipario si è alzato alle ore 20,00, proprio all'umano orario del pasto serale. Come a dire... chi ama il teatro rinunci  alla cena. Foto di scena di Diego Romeo  
Un Avaro dalle note blues
Le note di un violoncello e i movimenti dei personaggi che gravitano attorno ad un padre-padrone come metafora del potere che questo esercita nelle loro vite. Inizia così l’Avaro in blues tratto da Molière e portato in scena dalla compagnia La Piccionaia – Tradimenti di Vicenza. Un allestimento elegante, abbellito da armonie e canzoni blues e da una scenografia molto semplice e mobile, in grado quindi di adattare la scena ad ogni situazione testuale. Colpisce inoltre l’analisi del lato psicologico dei personaggi, dove emergono candidamente le loro debolezze, le paure e i sogni. Il denaro e l’amore sono i temi principali, legati tra loro dal personaggio Arpagone, il capo famiglia, che attraverso la sua ossessione per i soldi e l’avarizia, manovra e condiziona la vita di tutte le persone che gli ruotano attorno. Viene quindi risaltata la sensazione d’isolamento di quest’uomo dagli affetti più cari, che preferisce vivere solo e nella miseria, in un letto che assume quasi la forma di una prigione, con la cassetta dei suoi denari sempre in mano. Proprio la bellissima costruzione di questo letto, nella scenografia di Ketti Grunchi, vuole essere simbolo e significato dell’allestimento, dove la ricchezza può diventare la prigione dell’uomo, mettendolo in una gabbia di solitudine, lontano dai veri sentimenti di una vita, dai toni blues. 
Un avaro di Molière… abruzzese!
Davvero comico ed originale lo spettacolo proposto da Stefano Angelucci Marino! Il ben noto testo dell'Avaro scritto da Molière più di 3 secoli fa, infatti, è stato oggetto di una rielaborazione sia nel genere teatrale che linguistica. Lo spettacolo, un atto unico della durata di un’ora circa, è stato a dir poco versatile, dato che ha spaziato dalla tradizione, al teatro di marionette, alla commedia dell'arte, ed ha visto come ulteriore condimento scenico gli abiti e le musiche settecentesche, rese vicine e ancor più comicamente familiari al pubblico (per lo più aquilano) di Teatro Zeta attraverso la traduzione delle battute molièriane in dialetto della costa abruzzese. Pochi gli attori-personaggi in scena: solo 3 (Arpagone e i suoi servi), con Stefano Angelucci Marino nei panni del vecchio padre, tanto tirchio quanto avido di sesso e soldi. A fare il ruolo dei figli di Arpagone, cioè Cleante e Elisa, (e a volte dello stesso Arpagnone) c’erano le marionette (vestite anch'esse in maniera settecentesca e dialoganti in dialetto abruzzese) che sono state abilmente manovrate sull'alta sedia-trono di Arpagone e nei tableaux della porta che, posta al centro del palcoscenico, costituiva (insieme alla sedia), l'elemento scenografico dello spettacolo. Da questa porta ha fatto il suo ingresso trionfale Frosina, interpretata da Tommaso Bernabeo, per un'inaspettata scena scabrosa dello spettacolo. Infatti, con le tecniche esagerate dell'antica commedia dell'arte, sono state inserite nello spettacolo delle vere e proprie scene di seduzione a luci rosse (erano rosse anche le luci di scena) che, però, come da tradizione molièriana non hanno distolto Arpagnone dalla sua mano protettiva sul denaro. Lo spettacolo, infatti, nonostante l’unità tematica del testo (e del linguaggio) e la bilanciata alternanza scenica tra i tradizionali soliloqui/dialoghi di Arpagnone in persona e delle marionette, ha visto anche la presenza di due scene ben definite e in contrasto con la bonarietà ed ingenuità visiva di quelle precedenti: la scena a luci rosse e la scena al buio (forse un po’ lunga) di Arpagone che freme per la difesa dei suoi averi. L'avarizia di padre-padrone è stata messa in scena fino agli estremi: egli è stato il vero e unico protagonista della pièce che è stata sfoltita di tutti gli altri elementi e personaggi. Lo spettacolo è terminato con il monologo in cui Arpagnone, derubato dei suoi preziosi denari, si domanda come facciano i suoi poveri soldi a vivere senza di lui! L'idea delle marionette è stata davvero azzeccata! Un po' meno lo è stata l'introduzione delle due scene a contrasto (quella a luci rosse e quella senza luci) perchè erano stilisticamente troppo distanti e ravvicinate tra loro, rispetto alle scene delle marionette. Apprezzabile anche la comica trasposizione linguistica al dialetto abruzzese. Bravissimi gli attori. Consiglio lo spettacolo a chi apprezza la ruvidezza psicologica di Molière, a chi ama le marionette e i revival vicini alla commedia dell'arte ed infine a chi si diverte a veder rappresentate commedie famose in stili registici o linguistici diversi dal consueto!
All'Elfo-Puccini un "Avaro" al femminile
Un Molière cupo e dalla voce femminile quello del Teatro della Albe, storica compagnia del ravennate che che ha fatto della reinvenzione dell’antico, tra tradizione e visionarietà, uno dei segni distintivi del proprio lavoro. In questa versione de “L’Avaro”, ad interpretare Arpagone è infatti Ermanna Montanari che fa del microfono uno scettro di potere, ricreando suoni ora profondi ora sinistri e acuti.  Quello di Molière è un teatro sull’umanità, di cui restituisce una visione più che mai attuale pur essendo stato scritto nel 1668, un teatro che penetra il male in tutte le sue forme, sociali e psichiche. La regia di Marco Martinelli asseconda la traduzione di Cesare Garboli, uno dei più importanti traduttori italiani di Molière, lasciandone inviariata la struttura in cinque atti e gli intrighi della vicenda ma puntando a farne emergere la crudeltà e l’ironia tragicomica, di cui il commediografo francese era maestro, per accompagnare lo sguardo dello spettatore alle contraddizioni della società di oggi. “L’Avaro” sarà in scena al Teatro Elfo-Puccini dal 21 al 30 gennaio, per chi volesse riscoprire uno dei testi storici della letteratura teatrale attraverso una messa in scena tutt’altro che tradizionale. Informazioni e prenotazioni: Teatro Elfo-Puccini corso Buenos Aires 33 02.00660606 - biglietteria@elfo.org www.elfo.org  
AVARO DI Molière
Per i provini della Compagnia "I nuovi istrioni" Spedire curriculum a ferrarelli@inwind.it.
Avaro e Pignotta al Manfredi
SCUSA SONO IN RIUNIONE, TI POSSO RICHIAMARE? Dopo il grande successo di "UNA NOTTE BIANCA" ecco la nuova commedia di Gabriele Pignotta che racconta la storia di cinque trentacinquenni, ex compagni di università, che dopo gli indimenticabili anni di studio trascorsi insieme, decidono di puntare tutto sulla carriera, finendo nel frullatore di un esistenza complicata e stressante. Esattamente come accade oggi ad ognuno di noi, corrono in continuazione da un impegno a l'altro, non hanno mai tempo per nessuno, non riescono a mantenere un rapporto sentimentale stabile e a chi cerca di rallentare la loro corsa insensata verso il nulla, l'unica cosa che sanno rispondere è:Scusa sto in riunione ti posso richiamare!” Improvvisamente però, nel bel mezzo della loro frenetica vita quotidiana ricevono una telefonata misteriosa che li porterà a rincontrarsi dopo 10 anni e a trascorrere dei giorni insieme! Così, mentre tutto sembra volgere al termine, verso il lieto fine di una storia di amicizia iniziata tanti anni prima, ecco una sorpresa spiazzante, che farà sobbalzare il pubblico e che catapulterà i cinque protagonisti in una situazione davvero inimmaginabile e grottesca! Questo episodio stravolgerà la trama, dando vita ad una serie di intrecci e colpi di scena davvero esilaranti! Insomma una commedia divertente, originale e coinvolgente, con un cast di attori bravissimi, che ha un unico grande obbiettivo: sorprendervi! Aiuto Regia: Elena Fazio Scene: Tiziana Liberotti Luci: Luca Carnevale Musiche: Stefano Switala Regia: Gabriela Pignotta Attori: Gabriele Pignotta Fabio Avaro Cristiana Vaccaro Ilaria Di Luca Andrea Gambuzza Da martedì 10 marzo 2009 a domenica 29 marzo 2009 Il Presidente del taetro Nino Manfredi, Luciano Colantoni, parlando di questo spettacolo ha detto che: “Due attori che il pubblico affezionato del Manfredi ha imparato a conoscere: Gabriele Pignotta e Fabio Avaro (ricordate Una notte bianca e Una volta nella vita?) tornano insieme e tornano con una commedia che sta registrando il tutto esaurito da due anni. “Scusa sono in riunione, ti posso richiamare? ” è il titolo della commedia che debutta martedì. Divertente come lo sono i due attori che hanno al loro fianco, tra gli altri, Cristiana Vaccaro che avete visto ne “Il gufo e la gattina”, ricordate ancora?Nello spettacolo si narrano le vicende dei trentacinquenni di oggi che hanno una sola prospettiva: la carriera. E per raggiungere il loro scopo vanno di fretta, trascurano se stessi e gli amici e insomma, non hanno tempo per nulla. Diciamoci la verità ci riconosciamo un po’ tutti in questa storia vero?”
Stefano Masciarelli nel vecchio avaro Euclione a Paestum
E' proprio il mattatore Stefano Masciarelli nei panni del vecchio avaro Euclione ad esibirsi questa sera nel teatro dei templi. Tra dieta e impegni tv l’attore fantastica di fermarsi a Paestum fino al 15 per duettare con Simone Di Pasquale Classici del Teatro al Teatro dei Templi per il secondo appuntamento con il Paestum Festival, la kermesse di spettacoli in svolgimento fino al 23 agosto nell’Area Archeologica del Grande Attrattore. Dopo lì apertura all’insegna del “Novecento Napoletano”, questa sera, andrà in scena la “Aulularia” ovvero «La commedia della pentola» di Plauto, massima espressione della commedia popolaresca, in cui si mescolano armoniosamente le tecniche dell'inganno, dell’ambiguità e del doppio senso. Elementi determinanti ed egregiamente amplificati dalla forza comica del protagonista, l’attore e doppiatore romano Stefano Masciarelli che, in questa rilettura del regista Walter Manfrè, riesce a donare particolare vivacità interpretativa all’opera plautina fino all’acme del lieto fine. Il testo racconta la storia del vecchio avaro Euclione che, scoperta una pentola piena d'oro rinvenuta nel giardino di casa, ostenta un'assoluta povertà, ossessionato dal timore che qualcuno gliela possa sottrarre. Il suo vicino, il vecchio scapolo Megadoro, si offre di sposarne, senza dote, la figlia Frigia: Euclione accetta con entusiasmo, ma non sa che la ragazza, violentata durante le passate feste di Cerere dal nipote di Megadoro, Liconide, sta per partorire. Nel frattempo Strobilo, servo di Liconide, riesce ad impossessarsi della pentola: solo quando al disperato Euclione verrà restituita, egli acconsentirà alle nozze tra il giovane Liconide e la figlia, e l'oro servirà da dote a Fedra per il matrimonio giusto e riparatore. I motivi della commedia rinviano tutti alle allucinazioni del vecchio avaro, che vede in ogni cosa, animale o persona esseri mostruosi e tentacolari miranti a sottrargli il tesoro. Per spiegare il taglio prescelto, il regista ricorre al pensiero del poeta e Maestro del cinema italiano Pier Paolo Pasolini che definiva il teatro di Plauto “sanguignamente plebeo, capace di dare luogo ad uno scambio intenso, ammiccante e dialogante, fra testo e pubblico”. “Illuminante – afferma Manfrè - ci è sembrata questa intuizione e spesso ad essa ci siamo rifatti nei nostri pochi allestimenti di commedie latine”. «Plauto è un autore che amo molto, perché posso gestirmelo come voglio – racconta Stefano Masciarelli che già in passato si è cimentato con le opere dell’antico commediografo latino - a parte che i suoi testi sono sempre molto divertenti ed attuali, ti danno una possibilità entusiasmante di riuscire a cucirti un po’ addosso i personaggi». Una circostanza più che favorevole per l'esuberante artista che, reduce da tre anni di trionfante tournée in Palazzetti e Teatri con "La Febbre del Sabato Sera", confessa di essere stato completamente rapito dal musical e, alla notizia che a Paestum giungerà dopo qualche giorno il suo amico Simone Di Pasquale, dice «quasi quasi mi trattengo qui fino al 15 per fare due salti nell’Area Archeologica con il campione di ballo». Se non riusciranno ad incrociarsi sulla via dell’antica Poseidonia, i due si ritroveranno a settembre in teatro con il nuovo musical Hairspray... grasso è bello dove Masciarelli vestirà i panni rigorosamente femminili della triste "cicciona" che riconquista sorriso e fiducia in sé stessa proprio grazie al ballo. La dieta resta un simpatico tormentone per l’artista romano che, oltre a continuare ad essere impegnato su più fronti, dal doppiaggio al cinema alla fiction tv, confessa un altro amore artistico: «Ho creato dieci anni fa la big band “Auanaganazzaganazzaboys & Girl” dal genere comico musicale frizzante con cui vado in giro per l’Italia a fare spettacoli: oltre ad un repertorio nazionale ed internazionale riarrangiato, proponiamo alcune mie canzoni ispirati a concetti di vita quotidiana. Tra queste, due sono sulla dieta». Accanto al mattatore romano, in scena Rosario Coppolino (Servo di Liconide), Mela Battaglia (Stafila), Giovanni Ribò (Megadoro), Enzo Casertano (Eunomia, Pitodico), Fabrizio Vona (Liconide), Teresa Timpano (Genio di Famiglia, Antrace), Paolo Pollio (Congrione), Enok Marrella (Strobilo), Daniela Ialicicco (Frigia). Lo spettacolo avrà inizio alle 21.30. Il costo del singolo biglietto è di 17 euro per la platea numerata e 12 euro per la gradinata. Per informazioni: Fondazione Paestum Festival, segreteria organizzativa 320 3354908; Botteghino dell’Arena dell’Area Archeologica (orari di apertura 18-22 infoline 0828 723527); Prevendite tutti gli spettacoli: Circuito Etes (www.etes.it), Bar Basilica Café di Paestum. Fonte: JaG communication