Siamo ormai giunti al 150° anniversario dell’unità d’Italia. Si tratta di una data simbolica, perché in realtà i movimenti rivoluzionari per l’unione dell’Italia iniziarono ben prima del 1859 (anno della spedizione dei Mille) e si conclusero nel 1870 (quando pure lo Stato della Chiesa scomparve definitivamente e Roma, l’anno dopo, divenne capitale d’Italia). Coinvolsero tutta la Penisola, seguendo un giro quasi circolare, partendo da nord-ovest e scendendo verso sud dalla parte tirrenica, per poi risalire verso nord passando dalla parte adriatica. E quindi praticamente accerchiando lo Stato della Chiesa.
Lo spettacolo teatrale, in un unico atto, “Disco Risorgimento” ripercorre un po’ tutto questo periodo. E lo fa attraverso uno speciale soliloquio di Giuseppe Mazzini, interpretato (oltre che ideato) da Edoardo Sylos Labini, accompagnato da “Mamma” Italia, interpretata da una bravissima Melania Maccaferri (dalla presenza in scena energica e comunicativa), che rappresenta un po’ tutti quei patrioti che hanno contribuito a crearla, compreso Goffredo Mameli, l’ideatore dell’inno d’Italia.
Il linguaggio era semplice ed ogni battuta spiegava la natura, gli intenti e l’evoluzione del "personaggio" Mazzini.
Le città che sono apparse come fondamentali nel racconto mazziniano erano Genova, che ha dato i natali a Giuseppe Mazzini, Milano e le sue “5 giornate” e Roma con la sua brevissima parentesi di Repubblica retta dal triumvirato costituito dallo stesso Mazzini (sotto lo pseudonimo di Felice Casali) insieme a Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Ma un breve excursus è stato fatto anche ai rapporti con la Francia. Poi sono stati importanti i precedenti. Mazzini lo apprezzava molto Dante Alighieri. Così come l’ideale della lingua fiorentina come idioma unico, pronosticato anche da Manzoni.
Piacevole anche la presenza di aneddoti, come la spiegazione del perchè si augura "Merda!" agli artisti, l'amore di Garibaldi per Anita, le lettere di Garibaldi o la morte di Goffredo Mameli.
La recitazione degli interpreti era chiara e misurata. Peccato solo per la presenza dei microfoni ad archetto che amplificavano la voce fino a farla sembrare ”televisiva” e, quindi, schermata.
Ho potuto assistere a questo interessante spettacolo teatral-musicale presso l’Auditorium della Guardia di Finanza a L’Aquila (d’altronde un teatro vero e proprio il TSA ancora non è riuscito a riaverlo a due anni di distanza dal disastroso sisma del 2009!).
Il luogo in cui assisti ad un evento costituisce parte dell’evento stesso e, come ben si sa, il teatro ha la strabiliante particolarità di essere sempre uguale eppure sempre diverso da se stesso!
Quando sono entrata all’auditorium (l'entrata è nella parte centrale alta della sala), la vasta platea era già quasi piena. O per lo meno, erano quasi pieni i posti della sezione centrale. Avrei potuto chiedere ai presenti se lì in mezzo ci fosse stato qualche posto libero. Ma ho deciso di non farlo e muovendomi all’interno della sala ho scelto un posto sul davanti dalla parte sinistra (guardando il palco). L’effetto che ne ho ricevuto è stato particolare. Sembrava quasi di abbracciare il palcoscenico e con esso lo spettacolo. Il cambio di posto, se da un lato produce la mancanza della visione frontale, dall’altro fornisce altre sensazioni. E d’altronde chi fa teatro lo sa, ecco perchè lo spettacolo è fruibile anche di lato.
La scenografia era costituita da un barricata (che all’inizio dello spettacolo era coperta di una telo rosso), cioè un cumulo di sacchi e roba varia (sedie, porte, …) dall’alto della quale campeggiava dj Antonello Aprea con il mixer e gli strumenti che gli permettevano di fare i rumori di fondo e le musiche che hanno accompagnato la rappresentazione (musiche prese dal repertorio dell’epoca, come il coro “Va pensiero” dal “Nabucco” verdiano o le canzoni patriottiche), sulla cui melodia faceva sentire la sua voce (sia in italiano che in francese, con l’inno “La Marsellaise”) la cantante-attrice Elisa Santarossa. Una delle scene più emozionanti e particolari è stato quando Sylos Labini, dall’alto del cumulo ha iniziato a muovere la bandiera italiana come se fosse la bacchetta di un direttore d’orchestra, con il doppio riflesso che “sventolava” sul soffitto.
Davanti a tutto (sulla sinistra dello spettatore) c’era uno scrittoio.
Data la particolarità della location, solo la parte centrale del palcoscenico era occupata dalla scenografia e dallo spettacolo e gli attori entravano ed uscivano di scena dalla parte di dietro della montagnola di materiale accatastato.
I costumi di Sylos Labini, della Santorossa e di dj Aprea si accordavano alla scenografia, riproducendo la moda dell’epoca. Quello della Maccaferri, dato il ruolo simbolico da lei interpretato, era costituito da una bandiera dell’Italia che avvolgeva il suo corpo. Il tricolore, oltre che sull’attrice, campeggiava anche sul pavimento. In ogni caso, la costumistica assecondava l’interpretazione dei personaggi.
Nel complesso, il ritmo sia del testo messo in scena che della rappresentazione nel suo insieme è stato abbastanza veloce.