Valerio Binasco

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Spettacoli

Il costruttore Solness
Regia Kriszta Székely
Il costruttore Solness
La cucina
La cucina
Sogno d'autunno
Sogno d'autunno
BAR
BAR
John e Joe
John e Joe
Porcile
Porcile
Slurp
Slurp
una specie di alaska
una specie di alaska
La lezione
La lezione
Il bugiardo
Il bugiardo
Sarto per signora
Sarto per signora
Il mercante di Venezia
Il mercante di Venezia

Contenuti redazionali

Binasco e i "Sei personaggi" pirandelliani in una famiglia di giovani attori
Dal 1921, anno della prima rappresentazione al Teatro Valle di Roma, Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello è diventato un classico, con una trama e una forma scenica ormai cristallizzate nel tempo.L’allestimento, diretto e interpretato da Valerio Binasco, non ha potuto prescindere dal carattere metateatrale dell’opera, scegliendo però, ancora una volta, di puntare sul presente.GLI SPETTACOLIIN SCENA IN ITALIAValerio Binasco e Giordana FaggianoAll’apertura del sipario, il palcoscenico (quasi) vuoto è la cornice ideale per una sala prove che, in pochi minuti si popola di corpi, sudore ed energia: sono gli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, che stanno provando Il giuoco delle parti.Una famiglia disfunzionaleLentamente, fanno capolino sul palcoscenico quattro personaggi, che hanno una storia di “abbandono nell’abbandono” da raccontare: un Autore li ha concepiti con la propria fantasia, privandoli, di fatto, di una dignità artistica. Sara BertelàDai loro costumi, si intuisce che appartengono al passato e si può supporre che, da oltre un secolo, stiano vagando da un tetro all’altro alla ricerca di qualcuno che metta in scena il loro dramma familiare: la morte dei due figli più piccoli (per rappresentare i quali sono gli stessi personaggi a scegliere due elementi della compagnia di giovani).Lo stesso Binasco (nel ruolo del Padre) assume il ruolo di portavoce ufficiale della famiglia e il suo fastidioso sussiego viene adeguatamente bilanciato (con effetti piuttosto comici) dall’intensità emotiva del ruolo di “Mater dolorosa” affidato a Sara Bertelà, la cui sola presenza in scena spesso è efficace più delle parole taciute e dei desideri non espressi.Sei personaggi in cerca d'autoreGiordana Faggiano, come Figliastra, incarna alla perfezione la ribellione e il senso di colpa dai quali deriva l’urgenza (a tratti imbarazzante) di raccontare questo dramma familiare, che subito si rivela – come già scriveva Pirandello – “un complesso misto di tragico e di comico, tra fantasia e realismo”.Attori in ascolto, tra finzione e realtàNella visione registica di Binasco accade però qualcosa di nuovo rispetto alle intenzioni di Pirandello. La naturale contrapposizione tra attori e personaggi, parola e regia, si risolve in una inedita dimensione d’ascolto: i giovani attori della compagnia si pongono in ascolto dei personaggi, i quali esistono nella misura in cui c’è qualcuno disposto ad ascoltarli.Giovanni DragoE questo senso di accoglienza, privo di ogni sorta di giudizio, lo si può trovare – secondo il regista – “soltanto in una grande famiglia di attori”.In questa famiglia di giovani attori in crisi, nella quale tutti non sanno più cosa devono fare, spicca il Capocomico, ruolo nel quale Jurij Ferrini si ritaglia momenti di azzeccato realismo comico, senza risultare eccessivo o sopra le righe.Jurij FerriniTuttavia, l’accentuata predisposizione all’ascolto produce effetti evidenti e, per certi versi, spiazzanti: l’ascolto tra attori e personaggi accade interamente sul palcoscenico, si ha la percezione che la cosiddetta “quarta parete” non venga abbattuta.Come conseguenza, il pubblico assiste a una drastica riduzione del pathos, che culmina solamente nel coup de théâtre finale (l’amara consapevolezza del Figlio, nell’emblematica e introversa interpretazione di Giovanni Drago), condannato a rimanere eternamente un “personaggio scritto a penna leggera”. ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Il piacere dell’onestà: il primo incontro di Valerio Binasco con Pirandello
Il piacere dell’onestà, commedia scritta da Luigi Pirandello nel 1917, segna il primo incontro di Valerio Binasco con il drammaturgo siciliano. Il regista intuisce che i sei personaggi in scena sembrano quasi volersi liberare dell’autore, diventando persone vere. Intraprende così un percorso insieme a loro, interpretando Angelo Baldovino: un uomo ambiguo, in cerca di riscatto per le sue azioni passate, che si atteggia a filosofo e prova un gusto surreale nel perseguire l’onestà a qualsiasi costo, sconvolgendo per puntiglio i piani di tutti coloro che gravitano intorno a lui.ph. Luigi De PalmaPersonaggi senza mascheraIn bilico tra tradizione e suggestioni dalla drammaturgia nordeuropea (Jan Fosse, August Strindberg, che Binasco conosce bene, ndr.), in questo allestimento il regista punta a far emergere i sentimenti dei personaggi, mostrandoci chi sono veramente: la ferrea autodeterminazione di Agata (Giordana Faggiano), nel finale; l’esasperato bisogno della signora Maddalena (una convincente Orietta Notari) di mantenere le apparenze; il senso di colpa, di possesso e lo struggimento del Marchese Fabio Colli (Rosario Lisma); l’autentico impulso ad aiutare un familiare, (nonostante la consapevolezza dell’innata dicotomia tra realtà e apparenza) da parte di Maurizio Setti, interpretato da Lorenzo Frediani.Ombre e  luce soffusa, tra sogno e realtàLa scenografia e il disegno luci – a cura di Nicolas Bovey – introducono immediatamente il pubblico nello sfaccettato contesto pirandelliano, costantemente dominato dalla necessità di mantenere un (illusoria) apparenza: un interno borghese, composto da pochi arredi (tra i quali una vecchia radio, e un paio di porte), illuminato dall’alto da una serie di fari - rivolti verso la platea -, la cui luce si diffonde soffusa. ph. Luigi De PalmaUn uomo cammina nervosamente avanti e indietro con una sigaretta accesa in mano. E improvvisamente, sempre dall’alto, vengono calate le pareti di questa stanza, quasi a incorniciare il dramma che è in procinto di consumarsi sul palcoscenico.In un clima di incertezza e disperazione, fa comunque capolino un debole attimo di spensieratezza grazie al suggestivo gioco di ombre messo in atto dai due amanti, Rosario Lisma e Giordana Faggiano. In seguito, quando i protagonisti devono decidere circa il battesimo del figlio avuto da Agata con il Marchese, un girevole consente l’ingresso in scena di una tavola imbandita e ben illuminata (in perfetto stile Aggiungi un posto a tavola), che prelude al successivo inganno e alla drastica scelta (compiuta per amore) da Agata di abbandonare tutto per fuggire con  Baldovino: i due lasciano il palcoscenico attraversando la platea (rigorosamente indossando la mascherina).Gli applausi tributati dal pubblico sanciscono l’insostituibile piacere di tornare a teatro.
L’Arlecchino di Binasco mette giù la maschera e percorre la “commedia” della contemporaneità
Valerio Binasco motiva la sua scelta di riprendere Arlecchino servitore di due padroni, il testo goldoniano, icona della rivisitazione settecentesca della Commedia dell’Arte.”A chi mi chiede: «Come mai ancora Arlecchino?» rispondo che i classici sono carichi di una forza inesauribile e l’antico teatro è ancora il teatro della festa e della favola. Goldoni è capace di una scrittura che è solo in apparenza di superficie; se vado nei dettagli, non solo del testo, ma soprattutto delle ragioni che spingono i personaggi a dire quelle cose e non altre, scopro una ricchezza di toni interiori che ben si adatta a essere interpretata con sensibilità contemporanea.”Una scelta che mostra in maniera esplicita l’intenzione di rifuggire qualsiasi tentativo di imitazione strehleriana nel rivisitare un genere unico e insuperabile.Piuttosto la novità della regia di Binasco sta nel suo linguaggio cinematografico - sua cifra caratterizzante – e ancor più nel richiamo di un certo tipo di umanità che ha il sapore di un neorealismo (per usare appunto un termine cinematografico) contemporaneo. Si tratta di una realtà che dalle tavole del palcoscenico raggiunge lo spettatore nella sua quotidianità, nella sua arcaicità che ha in sé la modernità ma non la contemporaneità.Dalla Commedia dell’Arte alla comicità italianaLe tradizionali maschere della Commedia dell’Arte lasciano spazio alla comicità e alla commedia all’italiana novecentesca. Agiscono in una scenografia che è un gioco di scatole e pannelli mobili, una scacchiera di stanze che delimitano luoghi interni ed esterni. Ingegnosa è una giostra costruita con degli scivoli su cui scorrono valige troppo pesanti che scorrono e s’inceppano come in un ingranaggio guasto, una catena di montaggio inceppata, e finiscono per cadere ripetutamente. Insomma, le maschere resistono con i loro caratteri, fotografano un mondo diviso tra buoni e cattivi, servi e padroni, codardi e valorosi.Natalino Balasso, Elisabetta MazzulloLa rilettura è assolutamente moderna perché rispecchia un’Italia in bianco e nero, figlia della guerra, paesana, che ride e piange proprio come l’Arlecchino interpretato dal bravo Natalino Balasso. La maschera veneziana conserva fieramente il suo dialetto, le sue espressioni e la sua semplicità ma abbandona il costume a rombi colorati; veste i panni del servo e porta la “maschera” di un uomo che ha fame e soffre le cinghiate dei suoi padroni che gli lasciano segni a rombi sulla schiena. Arlecchino mette in scena la povertà, la miseria, la sua maschera da servo sciocco; attraverso il gioco delle parti e il concetto del doppio mostra la bellezza dell’equivoco, svela la presenza del sentimento anche nell’inganno. Lo stesso sentimento è presente anche nell’inganno di Beatrice (la bravissima Elisabetta Mazzullo) che è costretta a mentire per paura; e lo fa per nascondere il suo status sociale di donna, la sua debolezza, ma anche per rivendicare un torto e ritrovare un amore.Il tema femminile e dell’ingiustizia socialeAssolutamente predominante è il tema della condizione femminile, la sofferenza per un’emancipazione negata, l’impotenza di una donna che non può scegliere da sola. A meno che non decida di combattere e ingannare. Proprio come Arlecchino che, pur essendo un servo, è comunque un combattente. Egli combatte per la fame e lo fa con i mezzi di cui dispone: la risata e la bugia. Ma questa resta sempre una bugia che fa sorridere per la sua ingenuità, per il suo carattere popolare.La commedia va a contrastare la drammaticità, la battuta interviene nei momenti giusti, proprio quando serve rompere quel groppo di commozione che sale alla gola nei momenti più crudi. La maschera dell’avaro Pantalone (Michele Di Mauro), nella sua brutalità, si scontra con la bontà d’animo e la delicatezza tutta femminile di Beatrice che non riesce “a comportarsi da vero uomo” quando si rifiuta di frustare il suo servo nonostante le sue disobbedienze. Ci si intenerisce di fronte alla corte impacciata che Arlecchino fa alla serva Smeraldina: è questa la prova che anche i servi possono innamorarsi in un ordine sociale tanto crudele e squilibrato.E ancora ci si commuove nella scena d’amore tra Beatrice e Florindo (Gianmaria Martini), i due amanti che, dopo essersi creduti morti, si ritrovano con uno slancio e una passione assolutamente sconveniente e attuale, negata dai benpensanti borghesi e dalle affettate maniere dei salotti del tempo. È l’abbraccio di due guerrieri di ritorno da una guerra, quella per la giustizia sociale, quella contemporanea e quotidiana che, forse, combattiamo tutti nel nostro piccolo ogni giorno ma sempre con un sorriso.
Il Don Giovanni di Binasco: un burlone a tratti borderline e decisamente hipster
Interpretato da uno straordinario Gianluca Gobbi, il Don Giovanni di Binasco è un ritratto realistico e fragilmente umano di uno dei personaggi più amati/odiati di sempre.
Valerio Binasco: “Dobbiamo recuperare un rapporto viscerale con il teatro"
“Un razionalista che fa gli scongiuri”:  ecco chi è il Don Giovanni di Molière per il nuovo consulente artistico del Teatro Stabile di Torino.
Il Porcile di Binasco: un'opera visiva
Tra il '66 e il '67, ispirato dai Dialoghi di Platone, Pasolini elabora durante un periodo di convalescenza sei opere teatrali, tra cui Porcile. Dal filosofo greco apprende la capacità di “scrivere attraverso i personaggi” (intervista sul Corriere del Tirreno, 13/11/71) e di tradurre in azione la parola poetica. Se il testo è fedele all’opera pasoliniana, l’interpretazione scenica di Valerio Binasco ha un linguaggio contaminato da un immaginario visivo contemporaneo. Pochi riferimenti reali, uno sguardo intimo e fragile e una perturbante tensione che strania e lascia in sospeso lo spettatore. Tra Bill Viola e Paolo Sorrentino – complice il ricorso a proiezioni video e proiezioni virtuali per scandire gli episodi del dramma pasoliniano – Porcile di Binasco dà un volto nuovo e personale all’opera, unisce una surreale staticità e lentezza a un'inquietudine di presagi e tensioni. Sospesi nel tempo della tragedia, i protagonisti mostrano tra ironia e contrasti, un’umanità semplice, intima e fragile. I problemi socio-politici degli anni Sessanta in un’Europa infuocata dalle proteste, dalla paure della guerra, forniscono indicazioni storiche precise, ma l’analisi dei cambiamenti antropologici dell’uomo a causa del capitalismo e del bieco consumismo prevalgono. Pasolini e lo stesso Binasco mettono in evidenza il dramma esistenziale del giovane Julian e della sua famiglia, divorati dalla necessità borghese della produzione e dell’attivismo, sotto una luce grottesca che coglie la profondità psicologica di un eroe straniato. Se Pasolini si concentra sul Teatro di Parola, Binasco – supportato da Lorenzo Bandi (scenografie), Roberto Innocenti (luci) e Sandra Cardini (costumi) – porta in scena un’opera visiva, a tratti tableaux vivants che suggestionano lo spettatore e sottolineano la drammaturgia testuale.