Tragedia giapponese in tre atti di Giacomo Puccini, su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, dalla tragedia di David Belasco.
L’opera in breve
di Ludovica Gelpi
Madama Butterfly, sesta opera di Giacomo Puccini, è considerata unanimemente uno dei più grandi capolavori del compositore. La genesi fu piuttosto laboriosa, Puccini si dedicò lungo tempo alla composizione, studiando a fondo la cultura giapponese insieme ai librettisti Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. Nel 1900 il compositore aveva assistito ad una rappresentazione teatrale dell’omonimo dramma di David Belasco (a propria volta tratto da un racconto dello scrittore americano John Luther Long) e, vivamente impressionato, aveva deciso di trasporre la pièce in musica. Quattro anni più tardi l’opera, una «tragedia giapponese in due atti», fu pronta per andare in scena al Teatro alla Scala: era il 17 febbraio 1904, e fu un clamoroso fiasco. Le ragioni di tale insuccesso rimangono ad oggi poco chiare. Di fronte ad una reazione così negativa, il compositore si disse contrariato, era infatti convinto della qualità del suo lavoro, ma decise di introdurre sin da subito alcune varianti. Prima fra tutte una suddivisione del secondo atto in due parti (che sono poi state più spesso definite atti distinti, arrivando quindi ad un totale di tre atti), l’introduzione dell’aria «Addio fiorito asil» (il tenore protagonista aveva bisogno di un suo distintivo momento lirico) e in generale l’addolcimento di alcuni tratti caratteriali, in particolare di Pinkerton (che pure rimane un personaggio negativo e perfettamente riconoscibile fautore delle sofferenze della protagonista). Dalla prima ripresa, avvenuta al Teatro Grande di Brescia nel maggio dello stesso anno, l’opera venne consacrata come uno dei più amati successi pucciniani. Alle prime modifiche se ne aggiunsero altre, che portarono l’opera alla cosiddetta “quinta versione”, oggi la più comunemente rappresentata.
La vicenda ha tutte le caratteristiche che rendono una tragedia coinvolgente, nonché il fascino dell’ambientazione orientale riprodotta con grandissima accuratezza. Il rapporto tra la protagonista, Cio-Cio-San, e Pinkerton è complesso e muove l’azione a partire da una premessa fondamentale: il conflitto culturale. Il tenente della marina statunitense è sorprendentemente sprezzante ed è di conseguenza un insolito co-protagonista maschile. Sharpless e Suzuki agiscono in un certo senso da intermediari, rappresentano rispettivamente la cultura americana e quella giapponese, ma sono in grado di leggere la realtà in maniera più oggettiva. Centrale è la parabola della protagonista: nel primo atto, Cio-Cio-San è una giovane radicata nella cultura giapponese. La stessa cultura ha determinato alcune tra le maggiori difficoltà della sua vita: il suicidio del padre, compiuto seguendo l’antico rituale dell’Harakiri, la conseguente necessità di sostentarsi facendo la geisha. Cio-Cio-San appartiene dunque a quel mondo, ma non sente di esserne parte. L’incontro con Pinkerton e il conseguente matrimonio sono una possibilità di cambiamento che la protagonista abbraccia totalmente, sviluppando un forte senso di appartenenza alla cultura americana. Si tratta per lei di un miraggio, un “qualcosa di diverso” che nemmeno conosce nel profondo, ma che accoglie come via di fuga. Nel secondo atto Cio-Cio-San si dichiara ostinatamente fedele a Pinkerton e sembra non curarsi dell’enorme divario tra il sogno e la realtà che la circonda. Dal momento in cui lui l’ha abbandonata, ogni legame con quel “diverso” vive solo dentro di lei, mentre gli altri personaggi e gli stessi spettatori vedono chiaramente la sua illusione infrangersi via via. L’atto finale è il momento in cui il cerchio si chiude: una volta svanita la possibilità di un futuro diverso, Cio-Cio-San decide di sottrarsi alle circostanze, e lo fa ripetendo il gesto del padre. Con l’Harakiri, un rito così ricco di significato, dichiara la sua appartenenza alla cultura giapponese, ma dichiara anche di non volerla accettare, e «con onore muore».
Nella musica si coglie con immediatezza il contrasto tra i riferimenti espliciti alla tradizione orientale, come l’uso di scale a cinque e sei gradi, e gli elementi tonali che identificano i personaggi occidentali (compresa una citazione dell’inno nazionale statunitense). L’intreccio sonoro è ricco di motivi ricorrenti di grande lirismo, in dialogo tra loro e in continuo mutamento con l’evolversi della trama, a riprodurre nel dettaglio le notevoli sfumature psicologiche di ciascun personaggio. Ne è esempio il celebre coro a bocca chiusa, che funge da simbolico amplificatore dell’interiorità della protagonista in un passaggio chiave, ovvero l’ultimo momento di illusione prima del tragico epilogo.