La morte della bellezza non si può mettere in scena, non si può "adattare" e non si può ridurre. La morte della bellezza si deve leggere. Per conoscere la limpidezza e la preziosità con cui Peppino Patroni Griffi (chiamarlo Giuseppe sarebbe fargli un torto, soprattutto per chi lo ha conosciuto) ha narrato le vicende di Eugenio e Lilandt, ha raccontato il loro amore ed ha attraversato l'oscenità con un linguaggio così alto ed aulico da renderla lirica e, sopra tutto, normale.
Il romanzo è, infatti, anche un dialogo tra l'autore ed un modo di vivere la sodomia e l'amore omosessuale pieno di sensi di colpa, di paure e di complessi di inferiorità rispetto all'amore, cosiddetto, normale.
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