Anton Cechov è un classico; e i classici appartengono sempre a un tempo che deve ancora venire. Scegliere di partire dai suoi atti unici, con un progetto di compagnia che consolida l’unione di teatranti che hanno maturato la loro esperienza al fianco di maestri di primo piano del teatro contemporaneo
d’autore, significa iniziare a consolidare l’idea di un lavoro d’attore per ripartire dalle basi, dal nucleo originale e fondante che ha incendiato di sé tutta la cultura del Novecento. Con Cechov, infatti, l’attore è consapevole che per essere necessario ed onesto ha bisogno di credere finalmente alle proprie battute, non ha bisogno d’altro. Può sostenere, fra le pieghe della sua vocazione, tutta la contraddizione del teatro, tragedia e commedia ad un tempo. Può, come è lecito, fare di tutto: giocare, irridere, travestirsi. È solo ed è – forse anche per questo – ancora libero.
Ci avviciniamo a L’Orso e La domanda di matrimonio, due «scherzi» come lo stesso Cechov ebbe a definirli, senza l’ansia di ricorrere «all’intelligenza tout-court» e con la consapevolezza che a teatro, come nella vita, l’umanità resta profondamente stupida. Cechov gioca a mettere i grandi pensieri della vita in bocca a gente di poco conto, gente mediocre e di cervello corto. La vita dei suoi personaggi si presenta come un «vaudeville», una farsa impenetrabile, dove tutto trascolora e si muove, e dove tutto «cambia». Nei due atti unici non ci troviamo di fronte a personalità di rilievo, ma a «caratteri», antieroi che annunciano e talvolta anticipano ridicole figure dai contorni borghesi. Esseri puerili, prigionieri di sogni volgari, di ambizioni futili, capaci tutt’al più di piccole rivelazioni, svenimenti e capricciose pulsioni. Personaggi a volte pieni di sorprendente vitalità pronta ad esplodere e a fermarsi d’improvviso per ripiombare nel buio della soffocante provincia che li ha generati. In questa matematica della vanità ciò che ci viene mostrato è la vita nel suo comico fluire, insensato e inglorioso.
Rispetto al tempo di Cechov, al tempo che egli volle rappresentare, quello che oggi non è cambiato è il senso di vivere senza orizzonti. Il senso di appartenere ad un mondo incancrenito e decrepito, un mondo che muore. È questa condizione di precarietà e di incertezza che risuona nei suoi personaggi come nelle nostre vite. Siamo ancora qui ad illuderci, tra entusiasmi e smarrimenti d’amore, ma restiamo immobili o tutt’al più incurvati dall’accidia, dalla brama di possesso e dal denaro.
Una produzione mercadante teatro stabile di napoli in collaborazione con
Compagnia Falbalas, Napoli Scena Internazionale E
Teatro Petrella di Longiano.
LO SPETTACOLO SI TERRA' ALLE ore 18.00: 8, 13, 18, 21, 22, 25, 28, 29 ottobre - 1, 4, 5 novembre LE RESTANTI SERE ALLE 21,OO.
Informazioni e prenotazioni: Tel. 081. 551 33 96.
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Regia:
Francesco Saponaro
Autore:
Anton Cechov