Non poteva che essere Nabucco ad aprire la Trilogia destinata a ripercorrere la straordinaria parabola creativa di Verdi. L’opera con cui, nel 1841, egli riesce a risorgere dalle avversità del destino e a riprendere in mano la propria vita, di uomo e di musicista, e in cui la dimensione biblica e profetica sfocia in un affresco corale capace di assorbire e sussumere in sé le singole individualità, verso un’ideale unione dei popoli. È in quella partitura che si gettano le basi del successo irresistibile di Rigoletto, primo tassello nel 1851 del trittico “popolare”, e tra tutte l’opera prediletta dall’autore, per la definizione viva del protagonista in un quadro di perfetta unità drammatica. E, in fondo, anche dell’estremo rinnovamento che in Otello (1887) germoglierà dal verbo shakesperiano, approdo inevitabile della “parola scenica” verdiana.