Tutto il mio folle amore si apre con una morte, forse quella del poeta, ma anche quella di un mondo che ha sofferto sulla propria carne la degradazione e il deserto cresciuto intorno.
“L’anima del popolo italiano” scrive Pasolini negli scritti corsari, “non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre...”. E forse si può rintracciare il senso di questo spettacolo, che è ancora un lavoro aperto, a partire dai nostri due corpi di attori, ora inquieti ora smarriti, ora teneri ora furibondi, due corpi-voci per dar vita allo sguardo sul mondo del profeta Pasolini, che prima di tutto è sguardo e poi si articola in un discorso complesso.
I due corpi-voci danno vita ad uno sconcerto che mostra i conflitti di un tempo che vive il suo crollo e la sua estinzione ma anche il suo insaziato bisogno di felicità. I conflitti di un sentimento che vive la rabbia per lo scandalo ma anche l’incanto per il sogno che rigenera. E intanto si delinea la parabola del poeta Pasolini
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