Un'edizione di 'Pagliacci' con scenografia completamente virtuale e prospettiva "mobile": Teatro.it intervista lo scenografo e regista romano che lancerà la sua rivoluzione al Carlo Felice di Genova.
Cristian Taraborrelli da quasi trent’anni crea sogni ed emozioni con le luci, i colori, la tecnologia, le stoffe, il legno e il cartone.
E’ uno scenografo, anche se la definizione più corretta oggi sarebbe creative and stage director. Ha realizzato gli allestimenti di decine di opere liriche, tra cui l’Elisir d’amore a Losanna, la Sonnambula a Roma, Luisa Miller a Malmö Opera, la Turandot e il Macbeth alla Scala di Milano. Molte le installazioni fisse, tra cui l’Italia in miniatura a Rimini o l’Acquario di Genova.
Tra le performance, gli eventi o le installazioni mobili, si ricordano Moda e Modi a Palermo, il grande Nido all’OGR di Torino, Focus Live a Milano e Intercoiffure a Roma. Sempre a Roma ha realizzato L’Opera illumina il Natale, un videomapping in 3D proiettato sul Teatro Costanzi. Ora prepara un rivoluzionario Pagliacci che andrà in scena a Genova a dicembre, e lo racconta in questa intervista a Teatro.it.
Perché quello di Pagliacci sarà un allestimento rivoluzionario?
Utilizzeremo la tecnica della realtà aumentata dentro un’opera lirica. E’ una novità assoluta. Quello che vede il pubblico in sala, con gli attori sul palcoscenico, sarà aumentato con la ricostruzione di altre immagini in 3D.
Che significa?
La scenografia sarà completamente virtuale, ricostruita dietro il personaggio e cambierà a seconda dei punti di vista delle varie telecamere: che saranno cinque. Un grande vantaggio per la prospettiva.
Si spieghi meglio
La prospettiva dipinta funziona fino a quando l’attore si tiene alla debita distanza: l’attore ha una limitata possibilità di movimento. Se si avvicina o si allontana, esce dal punto della finzione prospettica. Il gioco scenico non funziona più, si capisce che è tutto falso e lo spettatore ne ha un senso di fastidio visivo. Il programma di realtà aumentata che useremo riesce a processare le immagini 3D in tempo reale.
E questo cosa comporta?
La finzione prospettica viene adeguata in base al movimento dell’attore: quindi il cantante si può muovere come vuole. Ci sarà uno sfondo verde, che permette al programma di riconoscere il profilo del personaggio e ritagliarlo come in una foto scontornata. A quel punto possiamo mettere l’oggetto tridimensionale dietro la figura degli attori.
Lo spettatore seduto cosa vede?
Vede l’attore che si muove su un pavimento vero. Sul grande schermo led che ci sarà sopra, vedrà in automatico il risultato finale. Un doppio piano di visione, l’unione delle due tecniche: il teatro e la realtà aumentata. Rai 5 riprenderà lo spettacolo: aggiungerà alcune telecamere, per fare altre inquadrature. La mia regia della realtà aumentata è sempre vista in funzione del teatro; il loro linguaggio invece è diverso: a loro interessano anche il primo piano o il piano americano.
E come vi coordinate?
È la prima volta, sarà tutto da inventare. Il contributo virtuale dello spettacolo teatrale sarà anche parte della ripresa televisiva: lavorerò con la regista dell’opera per pensare le inquadrature. In pratica io lavoro sul doppio livello: la regia sul palco e la regia trasposta sul video. L’opera sarà poi trasmessa in differita.
Chi è Cristian Taraborrelli? Scenografo, regista, fotografo, visionario?
Nasco come scenografo. Ho lavorato con Giorgio Barberio Corsetti per 25 anni. Teatro contemporaneo. Utilizzavamo video e nuove tecnologie: è stato formativo e divertente. Poi c’è stato l’incontro con l’Opera e ne è nata una passione che ha portato entrambi verso la lirica. Ho iniziato a rendermi conto che avevo bisogno di una nuova modalità espressiva: nella mia visione scenografica ero molto più regista che scenografo. La mia scenografia non è mai stata solo descrittiva, per me le scene sono sempre state un altro personaggio. Il mio approccio rispetto al libretto e alla musica è molto registico.
In che senso?
Mi ponevo tutte quelle domande che si fa un regista. Come si deve muovere un attore, perché esiste quell’elemento scenografico, cosa rappresenta. Come ho detto non ho mai fatto una scenografia descrittiva. La mia scenografia appartiene di più all’anima che racconta veramente un sentimento.
E come lo racconta?
La scenografia per me è un moltiplicatore del sentimento che prova il cantante in quel momento. In questo mi aiuta la realtà aumentata. Per me ogni scena, ogni duetto, ogni aria ha bisogno di un elemento visionario e visivo. Quindi è normale o addirittura inevitabile questo catapultarmi nella regia.
C’è chi pensa che la scenografia sia un semplice accessorio
La scenografia è fondamentale. All’apice di tutto c’è il cantante, ma la scenografia e i costumi sono elementi cui non si può rinunciare. A volte però è anche vero il contrario. Allontanarmi dalla scenografia per passare alla regia mi ha fatto scoprire una cosa: se il lavoro con il cantante è ricco, se la sua gestualità è sostenuta da un sentimento, qualcosa che il cantante sente veramente, allora si può fare a meno della scenografia. O abbandonare la scenografia descrittiva.
E quindi?
Se abbandoniamo la scenografia descrittiva, possiamo utilizzarne un’altra. Posso usare una scenografia emotiva, in grado di amplificare l’emozione che sta vivendo il cantante in quel momento. Per me una scenografia può essere anche un semplice telo rosso, che diventa una passione. Io devo raccontare la mia visione e farla arrivare alla gente, deve essere leggibile il più possibile. Ma c’è un’evoluzione, e ci sarà sempre: oggi c’è il movimento che racconta, prima c’era la tela.
Sembra che stia parlando di una missione, più che di un lavoro
Certo. La mia missione è quella di raccontare storie. Mi interessa emozionare, comunicare quello che io provo vedendo l’agire dell’attore e ascoltando la musica. La scenografia è il racconto di un’emozione. Lo scorso anno ad Ancona, durante la mia Sonnambula il pubblico reagiva, entrava nei panni dell’uno o dell’altro personaggio. I commenti erano veramente partecipati: una risposta del pubblico magnifica.
Perché sentite l’esigenza della realtà aumentata?
La musica ha una grandezza espressiva infinita, è visionaria. Alcune volte la suggestione e l’intervento della scenografia e del video serve un po’ ad arginare quel vuoto incolmabile che si crea tra la trasposizione della musica e le altre arti. Nell’aria di Nedda, in Pagliacci, quando lei racconta degli uccelli, è come se la musica descrivesse la natura che sta intorno a lei. C’è bisogno di qualcosa che possa aiutare la recitazione: e secondo me in quel punto è di aiuto la realtà aumentata con la sua forza espressiva.
Ma come si è ritrovato a fare questo lavoro precario e complesso?
Non è stata una scelta dell’adolescenza. Ci sono arrivato per vie traverse. Sono stato prima pittore di scenografie. Poi mi sono appassionato a questo universo. La musica è sempre stata la mia passione, ad un certo punto questi miei due mondi si sono incontrati. Maturando ho scoperto le cose che avevo dentro. C’è chi da giovane sente il fuoco sacro, io ci sono arrivato piano piano. Però è vero che già da piccolo mi piaceva la tecnologia, e mi piaceva costruire cose. Adesso la utilizzo come la mia modalità espressiva.
Cosa la spinge?
Mi appassiona agire, creare. Affrontare sfide mi da linfa vitale. Sono abbastanza eclettico, aperto. Ho fatto il restyling dell’Acquario di Genova, e l’Italia in miniatura a Rimini. Mi piace confrontarmi con la novità, la contaminazione fra cose diverse. A Roma ho fatto un videomapping, proiettando sulla facciata del Teatro dell’Opera le immagini di cantanti liriche riprese dal vivo.
La sua è una carriera piena di successi ed emozioni
In passato l’emozione più grande me l’ha data un lavoro che ho fatto da scenografo: la Gertrude (Le Cri) di Howard Barker, al Théâtre de l’Odéon di Parigi, nel 2009. In quell’occasione ho ricevuto il premio della critica francese come migliore scenografia 2008/2009 e la nomination al Premio Molière. Poi gli ultimi lavori da regista: La Jura di Gavino Gabriel al Teatro lirico di Cagliari, Kafka-Fragmente di György Kurtág e La Sonnambula di Bellini ad Ancona. Tutte esperienze magnifiche: è pura energia lavorare con cantanti e attori.
Gli eventi danno grande prestigio, sono visibili ovunque
Lirica e prosa sono comunque le cose che preferisco: c’è il contatto diretto con l’uomo sul palco e lo spettatore in sala.
Lo confessi: ormai voi scenografi vi siete abituati al computer, e siete destinati a impigrirvi.
Non è assolutamente vero. La tela dipinta, le costruzioni fisiche e le immagini create dal computer sono tutti elementi espressivi che servono ciascuno in un determinato momento, ciascuno nel suo momento. Se sento che la tela è il migliore elemento espressivo in quel momento, uso la tela. Per me la tela, la costruzione e il video sono la stessa cosa, elementi da usare per raccontare un’emozione. Seguire il progresso serve anche come modalità espressiva. Bisogna trovare nuove modalità per catturare l'attenzione dei giovani, usando un linguaggio più vicino a loro. I giovani sono abituati alla velocità. Dobbiamo dimostrare di essere in grado di usare la velocità, se vogliamo essere vicini al nuovo pubblico.