Katia Ricciarelli e i suoi ricordi in questa seconda e ultima parte dell'intervista rilasciata a Teatro.it
Katia Ricciarelli è una cantante lirica di fama internazionale, regista di opere liriche, direttrice artistica di festival musicali, attrice di cinema e fiction tv, ospite di lusso nei talk show, scrittrice, e tante altre cose ancora.
Ma nell’immaginario collettivo ha soprattutto il merito di avere fatto, al femminile, quello che hanno fatto al maschile personaggi del calibro di Pavarotti e Bocelli: avvicinare la lirica al grande pubblico. Lo stesso pubblico che prima non prendeva nemmeno in considerazione l’idea di entrare in un teatro dell’Opera.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Cos’è lo spettacolo per Katia Ricciarelli?
Posso dire che lo spettacolo è tutto, ma che allo stesso tempo ho cercato di vivere la mia vita in modo normale. Non ho mai pensato cose tipo "Se non ottengo questo risultato nel lavoro, muoio". E così sono passati 54 anni di carriera. Quando è arrivato il momento ho detto stop alle opere, ma sono arrivati il cinema, la prosa, la televisione e tante altre cose. Faccio concerti ma non più le opere liriche. Perché è faticoso, e non ho certamente né il fisico né l’età per interpretare ruoli come Manon o Giulietta. Bisogna avere anche un po’ di autocritica, anche se questa sembra una dote sempre più rara: nella musica e anche generalmente nel mondo. Anche nel cinema: interpreto le sceneggiature giuste per me. Interpreto la mamma, la zia, o anche la nonna.
E che spettacoli le piacciono?
Ogni tanto vado all’Arena di Verona, vicino a casa mia. In Tv guardo Rai 5, dove ci sono cose che mi piacciono ma anche tante cose che non mi esaltano. Mi piace la musica leggera e ovviamente la musica sinfonica. Non piace il jazz, ma è perché non lo capisco. Al conservatorio ci hanno insegnato che la musica è matematica pura: sentire una cosa che inizia e che non si sa quando finisce, mi mette a disagio. Intendiamoci, i jazzisti sono bravissimi: sono io che nella musica cerco un ordine, una gerarchia, un inizio e una fine prevedibili.
Si, ma facciamo una classifica
La lirica prima di tutto, ovviamente. Poi il cinema e la commedia a teatro. Guardo poco la televisione, solo quello che mi interessa: per lo più qualche fiction. Ne ho fatte diverse, in carriera.
Amici e nemici?
Non mi sembra di avere nemici, o almeno nessuno dichiaratamente tale. E’ chiaro però che anche io ho qualcuno che mi sta sulle scatole, come tutti: dentro il mondo dello spettacolo, e fuori. Diverso il discorso se parliamo di antagonismo. L’antagonismo fra artisti c’è sempre: senza antagonismo manca il fuoco sacro dell’arte, manca il pepe nella pietanza. Ma questo non trasforma l’altro in un nemico. La Callas e la Tebaldi erano antagoniste, ma erano in realtà erano amiche e colleghe. Sono i fans che creano le fazioni tra loro, e poi le proiettano sui loro beniamini.
Resta il capitolo degli amici
Non dico i nomi, per proteggerli. Non sono molti: quelli che posso classificare amici veri sono solo tre. Non c’entrano niente con il mondo della musica: uno ha un ristorante, lo conosco da 40 anni. L’altra è una donna con cui siamo sempre insieme, da 15 anni, e che non potrebbe essere più lontana dal mondo della musica. Proprio per questo è una amicizia disinteressata: non le interessa chi sono e cosa faccio. Tra amici ci deve essere disinteresse.
Lei ha scritto un libro per spiegare ai bambini cos’è un’opera lirica
Si, si intitola Vi canto una storia. L'opera raccontata ai ragazzi. Insieme a Marco Carozzo e con le illustrazioni di Desideria Guicciardini. Presento in forma di favola L'elisir d'amore, Il barbiere di Siviglia, Il flauto magico, La Cenerentola, Falstaff, Hänsel e Gretel. Accompagno i giovani lettori in un mondo meraviglioso fatto di musica, divertimento e magia. Abbiamo bisogno che i bambini imparino il melodramma fin da quando hanno 7 od 8 anni perché assorbono moltissimo e hanno una grandissima capacità di capire. Quando sono più grandi iniziano ad avere altre distrazioni: i primi amori, la moto, i social. I bambini a 8 anni si meravigliano di tutto, assorbono: saranno il nostro futuro. Oggi abbiamo un buco generazionale pazzesco. Dobbiamo insegnare cos’è il melodramma. Se i genitori non hanno tempo di portare i bambini al matinée pomeridiano, possono sempre portarceli i nonni. Non portiamo i bambini a vedere le opere perché a volte sono storie truculente (ma non sempre, come ho detto prima). Poi però gli lasciamo davanti alla televisione dove passa ogni orrore, dal telegiornale a molta fiction.
Inoltre non possiamo dimenticare che la lirica è una forma di spettacolo che abbiamo inventato noi nel ‘600. La lirica è un nostro patrimonio italiano. Nel mondo non c’è un teatro dell’opera che nel corso della stagione non proponga almeno uno o più titoli italiani: ci sarà un motivo. L’opera lirica è il made in Italy assoluto.
E i giovani cantanti lirici, o aspiranti tali?
Il buco generazionale non c’è solo tra gli spettatori: c’è anche e soprattutto fra i cantanti. Sono spaventata e stanca di non vedere giovani italiani nei cartelloni dei nuovi allestimenti. I pochi giovani che ci sono, sono quasi tutti stranieri. Perché a casa loro hanno più opportunità e poi possono provare ad andare a giocarsi le loro carte all’estero. Tanti giovani italiani che hanno studiato canto avrebbero bisogno di esibirsi, di un ambiente che al contempo li sproni e li protegga, preparandoli ad affrontare situazioni poi più impegnative. Ed è questo lo scopo del progetto che voglio realizzare nel teatro che sto cercando. L’età più giusta per iniziare a insegnare la lirica? Tra i 9 e i 15 anni”.
Quando ha scoperto che rendeva bene anche al cinema?
Per me il cinema è stato un mondo completamente nuovo. Purtroppo non ho fatto scuole di recitazione per il cinema e il teatro di prosa: ma ho imparato moltissimo da Pupi Avati. Certo, avevo il timore di non essere all’altezza. Io sono una perfezionista in tutto quello che faccio. Poi ho usato la carta di sempre. Ho riconosciuto a me stessa di non essere nata per fare cinema, ma con tanta umiltà mi sono messa in gioco e alla fine sono riuscita ad avere buoni risultati.
Che differenza c’è con la lirica?
Nella lirica è tutto diverso. Il pubblico è lontano. Anche se non ti muovi efficacemente e non hai la giusta espressività facciale, non se ne accorge nessuno: basta che canti bene. Nel cinema e nella televisione ci sono i primi piani, sono importanti anche gli sguardi. Ma ho scoperto che si può essere sé stessi anche quando si recita. Cerco di fare quello che farei io se mi trovassi in quelle circostanze, nei panni di quei personaggi. A volte i registi mi dicono “Guarda, sei stata proprio naturale”. Per me è il più bel complimento.
E come si è avvicinata a sua volta alla regia?
In carriera ho interpretato un centinaio di spettacoli: alla fine sai come si fa a mettere in scena un’opera lirica. In generale come regista ho detto no a opere liriche che non avevo mai interpretato io, proprio perché non le conoscevo dal di dentro. La mia caratteristica principale è soprattutto quella del rapporto tra regista e cantante.
Ci spieghi meglio
Avrete fatto caso che oggi, quasi sempre, nelle opere danno più spazio alle grandi masse che ai singoli. In scena sono dominanti i cori, i ballerini, i mimi, i figuranti. Ho visto opere dove c’era una vera folla sul palcoscenico, e il singolo veniva se non proprio trascurato almeno abbandonato a sé stesso per mancanza di tempo. Un ragionamento del tipo: sei bravo? Allora arrangiati. Io invece mi dedico soprattutto ai protagonisti, ai singoli. Mi diverto e cerco di trasmettere agli artisti quello che provavo io quando cantavo una certa scena. Al 99% capiscono quello che voglio trasmettere e che mi aspetto da loro.
Dice che si diverte?
Moltissimo. Per me è emozionante e divertente. Mi piace scoprire l’animo di questi giovani mentre cantano. Noi cantanti abbiamo uno strumento incorporato dentro di noi: la nostra voce. Però se non fai vibrare la tua voce con i sentimenti e le emozioni che hai dentro, può venire fuori una nota perfetta: ma fredda, senza anima. E’ un canto che non vibra, non arriva al cuore del pubblico. Cerco di insegnargli e fargli provare quello che provavo io quando cantavo. Cerco di insegnargli quello che vuol dire e trasmettere una certa scena, e cerco di fare in modo che loro la interpretino alla luce delle loro sensibilità e capacità.
Che compositori preferisce Katia Ricciarelli?
Tutti, come è ovvio. Una mamma può avere dieci figli e amare tutti allo stesso modo, ma magari ha una debolezza per l’ultimo arrivato, che è tutto da scoprire. Succedeva così anche a me quando mi cimentavo in una nuova parte mai fatta in passato. Generalizzando potrei dire che il repertorio del belcanto mi è sempre piaciuto. Tutto l’800. Verdi, Rossini, Donizetti. Con il passare degli anni ho scoperto il realismo: mi è piaciuto moltissimo interpretare Puccini, Cilea, Mascagni.
(2- Fine)