Al Teatro Arsenale di Milano va in scena fino al 29 gennaio "L'ultima giornata di un condannato a morte", con il Patrocinio di Amnesty International.
In uno scenario da girone dantesco si consuma lenta e spietata la drammatica attesa di un uomo cui sta per essere brutalmente tolta la vita perché “giustizia sia fatta”. Dalla sentenza all’esecuzione, un ineluttabile cammino verso l’orrore: a scandire il lento scorrere del tempo soltanto, di quando in quando, le note del pianoforte. Intanto, i colpi dei martelli dei carpentieri che allestiscono il patibolo penetrano come un tarlo nella mente del condannato, minano la sua lucida percezione di quanto sta per avvenire e lo gettano senza pietà nell’angosciosa attesa di interpretare il proprio macabro ruolo al cospetto di una folla abominevole e urlante.
A fare da contraltare alla cruda realtà del racconto, il nitido pensiero di Cesare Beccaria che, come a indicare una delle possibili tracce da seguire, pone sul cammino del racconto gli elementi necessari per prendere posizione, per decidere finalmente da che parte stare.
Uno spettacolo contro il più grande dei crimini, ancora tragicamente diffuso a tutt’oggi nel mondo, un crimine che continua ad essere perpetrato in forme più o meno “edulcorate” grazie al silenzio complice di troppi: basti pensare che la pena di morte è ancora prevista e applicata in 76 paesi nel mondo, e che solo nel 2004 sono state eseguite almeno spezzate legalmente 3797 vite umane.
“Ecco cosa faranno di me questi uomini tra cui non ce n'è uno che mi odi, anzi mi compiangono e potrebbero tutti salvarmi. Invece m'ammazzeranno. M'ammazzeranno a sangue freddo, cerimoniosamente e per il bene dello Stato! Ah, gran Dio! Me sventurato, quale delitto ho commesso! E quale delitto faccio commettere alla società!”
V. Hugo
“Ogni pena che non derivi dall'assoluta necessità, è tirannica.”
C. Beccaria
Teatro