Teatro

Margherita Fumero, la vita di un'attrice

Margherita Fumero, la vita di un'attrice

Incontriamo l'attrice nota per aver fatto coppia per anni con il comico Enrico Beruschi. Oggi è madrina dell'associazione "L'Isola che non c'è", un gruppo che si occupa di ragazzi disabili. L’attrice Margherita Fumero, con alle spalle una lunga carriera nata per passione che l’ha condotta sul palco di molti teatri e a girare film con il regista Bruno Corbucci al fianco di Tomas Milian (uno per tutti, il film “Squadra antigangsters”), notoriamente conosciuta in coppia con il comico Enrico Beruschi, si racconta a Korazym. Uno spaccato del mondo dello spettacolo che va oltre la fama e una realtà patinata. L’attrice, madrina dell’associazione “L’isola che non c’è”, gruppo di Grugliasco (Torino) che si occupa di ragazzi disabili e per la quale si sta impegnando a raccogliere fondi, anche volontaria per l’animazione teatrale in una residenza per anziani del torinese, ribadisce che “non bisogna aver paura di faticare per ottenere buoni risultati”. Come ha iniziato a lavorare nel mondo dello spettacolo e quali differenze coglie tra ieri e oggi? Lei, attrice comica, cosa spera di aver lasciato nel pubblico in tutti questi anni? "Ho iniziato a 14 anni e quindi è tutta una vita. Non trovo ci siano molte differenze, forse oggi sono pochi i giovani che hanno voglia di prepararsi rispetto alle lunghe gavette che si facevano una volta. Oggi uno fa il “Grande Fratello” e diventa famoso… dipende se si vuole un successo duraturo o immediato che però poi dura un anno o due e finisce nel nulla, quindi si è una meteora. Se uno è preparato e studia il successo può durare tutta la vita. Ci deve essere una grande passione, altrimenti solo un pazzo potrebbe resistere a fare questo lavoro: è vero che dà tante soddisfazioni ma è un lavoro che prende l’anima, prende una parte della tua vita, a volte ci si trova a vivere proprio per il lavoro, si ha poca vita privata… Nonostante tutto ciò, è tanta la gioia che si prova quando si sale sul palco e si sentono gli applausi, il calore del pubblico, l’energia che trasmette. Credo proprio che ci sia un passaggio di energia tra l’attore che lavora bene e il pubblico, un passaggio di amore. Mi auguro di continuare a trasmettere serenità attraverso il mio lavoro, riuscendo a far dimenticare, almeno per un paio d’ore, i problemi e i guai. Se il pubblico si diverte e ride, posso ritenermi discretamente soddisfatta del mio lavoro". Un pensiero sul cinema contemporaneo. "Trovo che il cinema negli ultimi tempi sia molto dinamico e stiano emergendo registi giovani con talento. Io, recentemente, ho lavorato in un cortometraggio insieme a dei ragazzi che hanno dimostrato una grande tenacia. Ho visto l’amore in ciò che facevano e questa è una cosa che prima o poi ripaga sempre. Alcuni di loro sono giovani che studiano ancora e questo non è da sottovalutare. Questi sono ragazzi che fanno sperare bene per il futuro: oggi fanno un corto perché sono giovani, ma domani potrebbero diventare grandi registi". Ha lavorato in tutti gli ambiti dello spettacolo; ritiene ci sia un modo di esprimersi che sia più valido o che trasmetta maggiormente al pubblico? "Amo molto il teatro, ma anche il cinema e la televisione: sono modi diversi di comunicare con il pubblico perchè intervengono nella vita delle persone in modo diverso. Il teatro ti dà una reazione immediata, senti un’emozione istantanea e forte entrare dentro di te perchè c’è anche un’intensità fisica maggiormente percepibile; la televisione entra nelle case, perciò le persone che non hanno voglia di uscire o hanno dei problemi la accendono per stare in compagnia... Il cinema forse è più staccato dalla vita di tutti i giorni, fa sognare, ti tocca in un’altra dimensione… per me è sempre come una fiaba. La televisione ti entra in casa, invece per il teatro e il cinema devi essere tu che scegli cosa vedere. Una volta, quando ero bambina, si andava al cinema senza sapere nemmeno cosa trasmettevano; oggi è diverso. Sono tante le componenti che incidono sulle scelte di lavoro di un attore… Oggigiorno vengono proposti sempre più programmi televisivi che vogliono avvicinarsi alla vita reale scrutando l’uomo in situazioni parzialmente preconfezionate… "Parlando di “reality show”, a parer mio sono finti, sai benissimo che c’è la telecamera. Sai che la commedia è finta, per il tempo che la guardi ti sembra vera ma resti intimamente consapevole che non lo è; i reality, invece, ti mettono fuori strada perché pensi proprio che sia realtà, quando si tratta di finzione. Ci sono anche programmi che buttano i ragazzi nel mondo dello spettacolo: non mi piacciono molto perché mi sembra di mandare i ragazzi allo sbaraglio. Subito vengono conosciuti e anche apprezzati dal pubblico, ma l’anno dopo arriva un altro gruppo e questi quasi dimenticati; in tal modo un ragazzo prova l’esaltazione, pensa di essere arrivato… ma questo è un lavoro dove non si arriva mai e l’improvvisa notorietà può far del male se è seguita dall’anonimato e il ragazzo, magari, non è preparato a fare altri lavori. Fare l’attore significa anche, talvolta, fare un lavoro oscuro perché non sai dove ti porterà…" Dove finisce la finzione per un attore? "E’ difficilissimo per un attore essere se stesso. Il personaggio ti prende la mano, specialmente se lo interpreti a lungo. Io ho fatto molti film con Tomas Milian, che ha frequentato l’Actorstudio perciò lavora bene in qualsiasi ruolo: quando faceva i film nei panni di “Monnezza”, tanti ne ha girati che c’è stato un momento nella sua vita in cui aveva proprio gli atteggiamenti del personaggio, quindi è meglio cambiare ruolo per non fissarsi. Quando interpreti un personaggio c’è sempre qualcosa di te stesso in lui: lo vedi attraverso i tuoi sentimenti e la tua sottile sensibilità. Io sono una grande entusiasta, lavoro con grande passione e mi diverto: mentre interpreto un personaggio lo amo e cerco di capirlo sempre più… Ho sempre cercato di dare al personaggio una vita perché ha una storia umana, deve vivere". Quale messaggio vorrebbe lasciare a chi vuole intraprendere la sua stessa carriera? "Guardarsi dentro e vedere se c’è questo amore grande. La vera motivazione che spinge a questo tipo di lavoro non deve essere la voglia di notorietà per firmare autografi e farsi fermare dalla gente per la strada: questo può essere piacevole se ti accade, ma non basta a farti continuare e migliorare giorno dopo giorno. Se lo si fa solo per guadagnare, è meglio rinunciare subito perché quando passa “il tuo momento” arrivano i problemi e i complessi. Bisogna prepararsi e mettere passione in tutto quello che si fa, anche – e, forse, a maggior ragione – se costa fatica". Intervista di Sara Bauducco