Antigone è giovane. E’ la speranza. Ma anche la ineluttabilità di un destino.
Se Sofocle è denso di sorte l’Antigone di Jean Anouilh porta in scena la chiave di eterna lotta trasponendola nel quotidiano. Antigone si ribella a Creonte e antepone i suoi NO al “sì” delle affermazioni indiscusse dei ruoli. Il dramma, composto durante l'occupazione nazista della Francia, rielabora il mito adattandolo alla situazione storica vissuta dall'autore, presentata in modo ambiguo per superare la censura, ma tuttavia riconoscibile. Il conflitto fra Antigone e Creonte può essere più generalmente inteso come un confronto dialettico fra gli ideali della Resistenza francese e le ragioni del collaborazionismo.
Ma se la lotta tra Creonte e Antigone non muore mai, Antigone muore sempre.
E’ il sacrificio per l’avanzamento di un diritto che sia moralmente cosciente.
La storia soffoca sistematicamente l’affiorare della dissidenza al potere precostituito. La vicenda si ripete e Antigone inevitabilmente viene travolta, obbligata, infine catturata dalla preponderanza dell’istituzione che ha comunque e ovunque ragioni per metterla a tacere. Possibilmente per sempre.
Certo passò alla censura negli anni ’40 il testo di Anouilh, in fondo Creonte pare averla vinta. Tutti stanno dentro il loro ruolo. Anche lei ne ha uno netto: quello della dissidenza.
Ma se per una tragedia che coinvolge il destino il gioco tra l’assenso e il dissenso ha una valenza interiore di ambivalenza del fare e del subire, letta nel sociale: Antigone è sola.
Al Teatro della Tosse ogni stagione si rinnova la ricerca che restituisce testi dentro uno schema tra il bianco e il nero di storie e protagonisti prigionieri della loro esistenza come scrittura, come personaggi e come uomini, con abili incastri di ruoli giocosi, disegnati nei corpi, colorati a pastello dove il sacro, l’eterno, l’immobile, ha sempre la sua Antigone giovane che non sta ferma dentro una storia già scritta.
Per questa Antigone: un arredo fasciato da teli bianchi, come di casa che si torna a visitare e che prende vita, riaffiora, si trasforma all’ultimo in elementi dell’oggi. Un ufficio e le quotazioni in borsa sono i nuovi “sì” della storia. Creonte antico nel costume è sempre lo stesso, presente nel quotidiano; un pover’uomo che fa il sovrano come un compito, un mestiere, o una giustificazione. Senza interesse, ma solo fermezza di convinzioni che il suo ruolo rende indiscutibili, che sia Re o Dirigente. La nutrice è solo nutrice. La sorella bella è solo sorella bella. Le guardie sono solo guardie. La madre tesse, non fa altro, come la vita. La Tosse continua il suo percorso che traduce la vita in allegorie. Non si accontenta, lancia messaggi, senza paura da sempre con un disegno chiaro di Emanuele Conte: tra il tragico e il giocoso e se si ride si ride amaro.
C’è in questo percorso tutto il Teatro del dire di un tempo genovese in cui qui l’arte osava con Trionfo, con Galloni, La Borsa di Arlecchino, con la forza del pensiero e a tratti la gioia del cabaret amaro, quello spesso, quello vero. In questa messa in scena di Antigone ritagliati i personaggi su due piani, la vita che scorre: la nutrice, le guardie, la sorella. La forza degli opposti: Creonte e Antigone. Il destino è un elemento che non ha parole di uomini: diventa una figura nera di madre che tesse, non fa altro, tesse. E immobile nel tempo la tragedia si fa scenograficamente casa. Le scenografie parlano la lingua dei testi e se la regia di Emanuele Conte è convincente veicolo di emozioni e messaggi, gli interpreti sono una vera squadra e si sente. Giocano e firmano con personalità gli spettacoli nel trovare le loro interpretazioni. A dire “no” ad un bravissimo Creonte di Enrico Campanati, a cercare conforto in una sorprendente e stupenda nutrice di Pietro Fabbri è sul palco della Tosse una Antigone di Viviana Strambelli piena di patos.