Una sedia, un lenzuolo bianco e la giusta illuminazione. Bastano questi pochi elementi per restituire al pubblico le molteplici emozioni di uno spettacolo che cattura il pubblico con disarmante immediatezza.
Una sedia, un lenzuolo bianco e la giusta illuminazione, tenue e mai invadente. Bastano questi pochi elementi per restituire al pubblico le molteplici emozioni di uno spettacolo che, dalle prime parole – pronunciate al buio - cattura il pubblico con disarmante immediatezza.
Il “cunto”, dalla tradizione alla cronaca
Antropolaroid è un “monologo a più voci” nel quale il protagonista interpreta tutti i personaggi messi in scena. Tindaro Granata padroneggia con assoluto istrionismo l’antica tecnica del “cunto”, mescolando sapientemente la tradizione siciliana – tramandata oralmente dagli adulti ai bambini – con “fotogrammi” di vita familiare, che, senza forzature, vanno a intrecciarsi con tristi pagine di cronaca della Sicilia.Ad assumere un ruolo centrale sono i dialoghi tra i vari personaggi, i quali parlando tra di loro, “costruiscono”.
Decenni di storia in “Famiglia”
Con estrema naturalezza, soprattutto nella modulazione della voce, l’artista incarna tutte le proprie figure di riferimento, in ambito familiare e non solo: dal bisnonno Francesco, che nel 1925, si impicca, perché afflitto da un tumore allo stomaco; fino al proprio coetaneo e amico, Tino Badalamenti (nipote del più tristemente noto Tano) – morto con una corda al collo prima di terminare il servizio militare come marinaio sulla nave Spica, sulla quale anche Tindaro era imbarcato, ma che lasciò proprio quel triste giorno per inseguire il sogno di diventare attore.Nel corso dei decenni, dunque, La mafia fa ripetutamente capolino nelle vicende della famiglia Granata, senza però entrare prepotentemente nelle loro vite.
Un finale a cuore aperto
Il racconto a cuore aperto del proprio tortuoso percorso di formazione artistica – dall’esordio con Massimo Ranieri, allo stop forzato per un grave incidente, passando per numerosi lavori saltuari, fino alla definitiva ripresa della carriera – è l’ultimo messaggio che l’artista vuole lasciare al pubblico, al termine di uno spettacolo recitato con quegli indumenti (un gilet, un maglioncino e un pantaloni scuri) che gli hanno permesso tali camaleontiche trasformazioni un scena. Gli stessi che indossava quando faceva il cameriere.Con estrema delicatezza, rispetto ad altri suoi lavori (Invidiatemi come io ho invidiato voi, Geppetto e Geppetto), in questo spettacolo – il primo che ha scritto – Tindaro Granata affronta, senza dimenticare le proprie radici, temi universali, collegandoli a uno spaccato di umanità sofferente.