Riconoscenza. A Susanna Egri, alla sua Fondazione, alla rassegna "Ipuntidanza" per aver permesso a chi c’era (ed erano tanti) di incontrare la Compagnia del Balletto Nazionale di Gyor.
Bolero, prima performance in scaletta, è una meraviglia. Hanno trasformato la musica in corpo, dato movimento all’invisibile. Enormi gonne nere a racchiudere la parte inferiore del corpo, come fosse il ritmo, il tappeto sotterraneo del Bolero di Ravel. Come un’ enorme radice mobile sosteneva l’ incanto metamorfico del busto, degli arti, che acchiappavano le frasi musicali rendendole visibili, senza mai descriverle.
Uomini e donne a tradurre le famiglie di strumenti: interpretano i suoni, li espandono. Una cura d’immagine ed una pulizia visiva ragguardevole racchiudono il tumulto crescente di un Bolero che inizia donna e finisce tale.
Si riprende fiato con la Compagnia EgriBiancoDanza che, come un intermezzo shakespeariano, sciacqua gli occhi e le orecchie del pubblico con Beyond Water Borders: corpi guizzanti come l’ acqua che unisce e divide. Ironico e luminoso, oltre a discostarsi dalla cifra stilista della precedente performance, non regge il confronto con chi li ha preceduti. Nonostante una coreografia fresca e funambolica come i giochi d’acqua di una fantasmagorica fonte e interpreti all’altezza tra i quali spicca Cristian Magurano: il suo movimento è gioia pura, senza cedere mai alla vanità estetica, prorompente, inarrestabile e magnetico.
La differenza sostanziale sta nell’intento finale: chi riesce a dare un’abile descrizione dei sentimenti, delle pulsioni umane può essere considerato un poeta, ma chi traduce tutto, ciò rendendolo universale, è un artista.
E, forse, la differenza risiede anche nei mezzi a disposizione, beninteso economici, ma qui si aprirebbe un discorso politico e strutturale, anacronistico di questi tempi. Perché ciò che ha valore va sostenuto, altrimenti possiamo anche vendere i nostri monumenti più preziosi e con i soldi varare inutili e ridondanti manovre finanziarie.
Di arte conclamata si parla nel caso del secondo tempo dello spettacolo: Romance.
Senza una sola parola, il dolore, il tormento, la rinascita, il dubbio, la vanità, la gioventù e la morte regnano inequivocabili, distillati, potenti. Una coreografia che dona catarsi.
Rimarrà ai più impressa l’immagine della Vedova (Adrienn Matuza), in ginocchio, quasi immobile, che frammenta il ritmo del respiro raccontando tutto il dolore delirante della morte.
Riconoscenza. Perché, dopo aver visto questi danzatori, si esce con maggiore fiducia nell’ essere umano, capace di bellezza infinita.