Prosa
CORIOLANO

teatro, FABRIANO (AN), Coriol…

teatro, FABRIANO (AN), Coriol…
teatro, FABRIANO (AN), Coriolano di Shakespeare INGRATITUDINE E INVIDIA AVVELENANO L’AMICIZIA Coriolano è orgoglio al limite della superbia, muscoli, coraggio e forza fisica. Ma anche eroismo, nobiltà d’animo e forza morale. I suoi valori di riferimento escludono il compromesso, la menzogna, il sotterfugio, per cui è facile per gli altri fregarlo. “Meglio schiavo a modo mio che comandante a modo loro”; “preferirei che le mie ferite sanguinassero nuovamente, più che ascoltare come me le sono procurate”, dice. La sua unica paura è “smettere di onorare la mia coscienza”. La sua mente è incapace di concepire comportamenti utilitaristici e quando si trova di fronte a persone che lo ingannano per i loro scopi personali, che lo usano (tutti, compresi i familiari), ne esce sconfitto, perché non è preparato a fronteggiarle, non si aspetta scorrettezze, ricatti, minacce. Onesto e sincero, egli non crede che esistano ambizioni tanto smodate e una sete di potere e di possedere tanto spropositata, oltre ogni limite, oltre ogni ritegno, oltre ogni dignità. Quando se ne accorge è troppo tardi: Coriolano si sente smarrito, totalmente. Incapace di trovare punti di riferimento, incapace di salvarsi. E allora preferisce una morte certa all’incertezza del quotidiano, fatto di menzogne e ricatti. Essere una perfetta macchina da guerra non lo aiuta, anzi, stimato e lodato attira su di sé le ire degli squallidi personaggi, deboli e vigliacchi, che lo circondano e che lo vogliono distruggere solo per invidia o interesse personale ed economico, nonostante questi ultimi ricoprano cariche pubbliche e si suppone facciano il bene della comunità. L’invidia infatti spinge le persone che ci circondano (e a cui spesso abbiamo fatto del bene) a desiderare la nostra sconfitta, ad auspicare il nostro esilio, a favorire in ogni modo il nostro allontanamento definitivo. L’ingratitudine avvelena ogni rapporto personale, anche le amicizie che si credevano più solide. Spesso l’unico atteggiamento possibile contro chi cerca di distruggerci, anche moralmente e psicologicamente, è l’indifferenza, soprattutto contro chi mente sapendo di mentire, ci accusa sapendo che invece abbiamo ragione, ci sfinisce con una serie interminabile di odiose falsità per renderci stanchi e incapaci di lottare per difenderci. Coriolano purtroppo non riesce ad essere indifferente ed imperturbabile, è troppo preso da se stesso, come tutti gli eroi, è incosciente di quello che gli capita e di quello che hanno tramato contro di lui. Allora, incapace di opporsi, disperato e smarrito, si arrende nel momento in cui diviene consapevole di essere stato solamente e semplicemente usato. Da tutti. E qui sta la sua incommensurabile dignità. Le storie ritornano sempre e sempre sono di una attualità sorprendente. Shakespeare riesce a tratteggiare una figura pura, assoluta, un riferimento per ogni epoca, oggi come ieri. Peccato che questa messa in scena si avvale di una brutta traduzione (Roberto Cavosi e Loredana Ottomano), di una regia confusionaria e inefficace (Roberto Cavosi) e di attori non bravi e inadeguati (Alessandro Gassman, tra gli altri). Lunghissimo, interminabile è l’elenco delle cose difficili da comprendere dal punto di vista scenotecnico, registico ed interpretativo, al punto che raccontare lo spettacolo si riduce a riferire solo una lunga teoria di perché non risolti. Eccone alcuni. Perché Menenio Agrippa è sulla sedia a rotelle? Perché trasformare la plebe in operai e lasciare invece i tribuni? (Non era meglio, a quel punto, trasformarli in rappresentanti sindacali?) Perché ricorrere fino all’eccesso ad operai di varie categorie che compiono il loro lavoro mentre gli attori recitano? Perchè un contesto scenografico tra rivoluzione industriale e i “tempi moderni” di Chaplin? Perché il capo dei Volsci ha la voce microfonata come se fosse stato operato alle corde vocali? Perché spesso gli attori fumano e bevono caffè? Perché i soldati a volte hanno una luce sulla spalla e spesso indossano maschere antigas? Che significato hanno i rumori e gli stridii che si sentono in continuazione? Perché Coriolano dice di vestire la tunica dell’umiltà ed è vestito da muratore con tanto di cappello fatto con un foglio di quotidiano, mentre gli altri trasportano cassette di frutta e verdura? Perché piove a dirotto mentre Coriolano parla al Senato? Perché passa un clown con tanto di naso rosso e palloncini? Che significa la scena con le lanterne bianche? E quella con i palloni gonfiabili? Perché ci sono muratori, saldatori, fruttivendoli, operai di acciaierie, minatori? Perché tutti urlano in continuazione, appiattendo la recitazione e ogni possibile espressione sentimentale e verbale? Brutta la scena e i costumi, privi di un’idea unificante. Superflui e non interessanti i continui filmati d’epoca, proiettati su due schermi. Inutili ed inesplicabili i gesti dei numerosi attori, come le situazioni rappresentate. Tutto è esageratamente lungo e noioso. Insopportabile. Dall’inizio alla fine. Visto a Fabriano, teatro Gentile, il 2 novembre 2004. Roma, teatro Argentina dal 5 al 28 novembre, poi in turnè. FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Argentina di Roma (RM)