Giakarta, capitale dell’Indonesia, 1997: il caos. Dopo le ultime speculazioni straniere, sanzioni governative errate e la generale indifferenza del FMI (Fondo Monetario Internazionale) la valuta crolla, la crisi è generale e iniziano violenti disordini.
In una stanza vuota, dominata dal pannello luminoso che reca le indicazioni di borsa (ma non solo) si trovano a fronteggiare la situazione tre agenti di borsa e una giornalista che scandisce il tempo con i suoi incolori e pessimistici notiziari. Nella situazione irromperanno ben presto le idee e le azioni di una giovane studentessa di etnia cinese, e i sogni e gli incubi di ciascuno, destinati a fondersi drammaticamente con le violenze e gli stupri che dal mondo esterno irrompono nel ‘rifugio’ delle due donne, chiamate a confrontarsi tragicamente con la bestialità e l’indifferenza degli uomini.
Coadiuvato dai suoi cinque giovani attori e dalla poderosa drammaturgia di Jean Tay, atipico caso di letterato economista, il regista Giulio Stasi costruisce un messaggio forte e originale, in cui alla scioccante ricostruzione della storia vera di Ita, volontaria diciottenne stuprata e uccisa per il suo supporto alle donne violentate, si mescolano toni fanciulleschi e onirici con cui ognuno dei cinque protagonisti cerca a suo modo una via di fuga da una realtà che si approssima sempre più minacciosa fino a entrare con violenza e distruggere ogni certezza e ogni resto di dignità e speranza.
È un teatro che ancora una volta si veste del suo significato più vero, quello di messaggio sociale, di grande occhio spalancato sull’indifferenza e sull’omertà di un popolo che non può parlare e di tutto il resto del mondo che ha scelto di ignorare. Un’impresa non facile, ma condotta con coraggio ed efficacia, in cui il regista si è affidato ai suoi interpreti che lo hanno ben ripagato.
Spicca inevitabile la prova umana, se non artistica, di Michela Bruni, che ha prestato corpo e voce a una, a tante donne anonime vittime di violenza – scena mostrata qui in un controluce drammatico che ne accentua la brutalità e l’insostenibilità. Il pubblico ha accolto con simpatia le performances altrettanto convincenti dei tre giovani D’Argenio, Faustini e Soli, capaci di passare con intensità dai giochi, dai sogni e dalle ultime ingenue a una bestialità e crudeltà repressa che, una volta sfogata, cambia le espressioni ed indurisce gli sguardi.
L’ultima parola, nel suo ruolo di trait-d’union, spetta a Valentina Izumì, ideale testimone della missione e del sacrificio di Ita. E come spesso capita, si entra in una sala di teatro con leggerezza e vaga indifferenza e si esce con qualche spunto di riflessione in più.
Visto il
15-12-2009
al
Sala Uno
di Roma
(RM)