Dopo Can you eat me? visto lo scorso anno a Ubusettete la rassegna di questo interessantissimo consorzio di autori-autrici e attori-attrici, Elvira Frosini propone un ulteriore sviluppo nella sua ricerca sui rapporti tra parola e cibo, tra performer (performress) e famelicità sopica dello spettatore dal titolo indicativo Digerseltz.
Alla fine di Can you eat me? Frosini dopo essersi manifestata come voce recitante, al buio, mostrando un corpo diafano illuminato da una luce flebile e impercettibile, con una parrucca davanti gli occhi che le nascondeva il viso, lasciava il pubblico a digerire la performer dopo averlo incantato con un'affabulazione che lo ipnotizzava portandolo in una condizione semi onirica.
In Digerseltz Frosini riprende le fila di quel discorso e si mostra al pubblico nel suo vero sembiante, dismettendo la parrucca e percorrendo la via di un teatro di parola dove l'ironia sottile e acuta, pur individuando analogie e sottintesi appartenenti ai diversi ambiti semantici in gioco, si
attesta su una drammaturgia più canonica.
Frosini si muove tra gli interstizi del tessuto connettivo tra teatro e cerimoniale sociale, tra ricorrenze (il compleanno) e rappresentazioni sociali (il presepe) tra fame di cibo e fame di rappresentazione, deviando dal guizzo autarchico di Can you eat me? (che Digerseltz cannibalizza riproponendolo parzialmente all'inizio) immolandolo a un teatro nel quale, nonostante il continuo rivolgersi al pubblico, la quarta parete separa la performer dalla sala molto più di quanto non accadesse nella performance precedente.