Incuriositi dell’annuncio della compagnia toscana Murmuris Teatro di voler combinare dei disastri al teatro della Contraddizione di Milano, noi, di Teatro.org, siamo andati per vedere che cosa ne è venuto fuori.
Prima di parlare dello spettacolo stesso bisogna, forse, dire due parole su chi era Daniil Charms (per la precisione, in russo si pronuncia come Harms, con la “h” aspirata), il nome de plume di Daniil Juvacev, uno scrittore, poeta e drammaturgo russo che fino a metà degli anni settanta persino in patria era conosciuto solamente come una specie di giullaresco cantastorie, autore di allegre poesie e filastrocche per i bambini. Infatti, fino a quel periodo la sua produzione “adulta” è rimasta completamente sconosciuta ai lettori poiché secondo la censura sovietica era del tutto priva non solo di ogni valore ideologico - indispensabile nell’era del rigoroso social-realismo - ma semplicemente di senso, di contenuti e di forma. Insomma, di tutto quello che oggi viene studiato, imitato e chiamato la letteratura dell’assurdo, ma che all’epoca di Charms veniva considerato un diseducativo e dannoso spreco di tempo. Tanto dannoso che - mentre i suoi coetanei Beckett, Ionesco e Adamov, trovandosi in Europa, elaboravano le “nuove forme per il romanzo ed il dramma” e ricevevano premi e onori (in particolare Beckett, Nobel per la letteratura ’68) - Juvacev veniva rinchiuso in un manicomio dove morì nell’42 a soli 36 anni.
Ai tempi nostri, a settant’anni dalla morte, la riscoperta dei suoi pochi inediti sopravvissuti all’assedio di Leningrado non solo ha ricondotto Charms pari pari ai celeberrimi “sovvertitori di normalità”, ma, vista l’epoca in cui questi furono scritti – a cavallo degli anni ’20 e ‘30 - addirittura ha portato a considerarlo il loro capostipite.
In Italia Charms è stato scoperto meno di una decina d’anni fa e fin da subito il suo misterioso humour nero si è rivelato irresistibile per le compagnie teatrali che, con fortuna alterna, si sono lanciate a sperimentare la metafisica delle sue forme simboliche.
La rappresentazione di Murmuris Teatro è un ulteriore tentativo di dare un’occhiata alla lucida follia del pioniere dell’assurdismo russo, una composizione scenica abborracciata di vari sketch tra loro sconnessi, dove la trama per sua natura è priva di alcuna logica lineare. Raccontarlo è altrettanto impossibile come gli scritti di Charms. Tre attori e un’attrice, con degli abiti buffi che ricordano vagamente l’epoca in cui furono scritti, approntano scenette prive di alcun soggetto, grottesche e irrazionali dove i protagonisti sono vicini di casa, parenti, colleghi-scrittori, amici, conoscenti, semplici passanti, Pushkin, Gogol, comuni cittadini e serial killer. C’è anche Charms stesso, invisibile, che parla con la voce di Antonio Rizza. Tutti gli ingredienti di quest’insalata russa, trinciati in singole frasi e battute, vengono mescolati e a manciate lanciati sopra il disadorno palco del Teatro della Contraddizione. La loro comprensione non è richiesta perché tutto quello che accade, in realtà, è un sogno fantasmagorico, uno scorrere veloce di visioni e sensazioni in un luogo senza tempo e senza luogo che può durare all’ infinito, così come può essere interrotto in qualsiasi momento. Tuttavia, più che a un variegato caleidoscopio, a uno show dinamico e compatto, dopo i primi minuti di attesa lo spettacolo definitivamente assume connotati di una giostrina che procede con passo monotono e abbastanza lento.
Secondo il disegno scenico gli attori si muovono come marionette (una probabile allusione al regime sovietico), saltellando disordinatamente al ritmo dell’allegro motivetto scritto da Marco Canaccini, e stramazzano a terra più o meno dopo ogni battuta, come se il marionettista che li guida lasciasse cadere i fili. Si potrebbe dire che questi infiniti capitomboli, in fin dei conti, raffigurano il momento chiave della rappresentazione. Sembra quasi che tutta la fantasia della regista Alessandra Aricò – conosciuta, tra l’altro, anche come coreografa - si sia esaurita con questo banale elemento acrobatico. Gli attori cascano a terra singolarmente o formando le cataste simili ai tronchi di pini siberiani pronti alla fluitazione (rappresentando forse l’allegoria dei campi di lavoro forzato dove lo scrittore sarebbe finito se non fosse morto prima) e già a metà dello spettacolo la gag non suscita nulla tranne l’irritazione.
L’errore della messa in scena forse è stato quello di lasciarsi ingannare dall’allegra apparenza della satira di Charms che per inerzia, purtroppo, non fa ridere. Qui una trovata sola non basta. Per vedere la vita così come la vedeva lui - cioè in continua competizione con il marasma – ci vuole sicuramente non un pizzico, ma una massiccia dose di follia condita con sale e pepe. Solo allora si potrà creare la vera magica atmosfera “charmsiana”. Fino ad allora i disastri rimarranno una semplice monelleria e l’insalata russa troppo insipida.