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DISCO RISORGIMENTO

Disco Risorgimento: l’altra Storia

Disco Risorgimento: l’altra Storia
Un’idea di interiorità permea questo spettacolo che intende celebrare il Risorgimento nella sua idea più pura, quella di un paese che fosse finalmente unito, senza più dominatori stranieri, fossero essi imperatori, re, o papi. Molti contribuirono a questo farsi dell’Unità italiana, e non solo politici e combattenti, ma anche poeti ed artisti. Tutti i loro nomi compaiono qui, ma come contrappunto, un tappeto poetico o musicale su cui vengono percorsi passi e pensieri tormentati da parte dell’uomo che ci racconta questo momento storico fondamentale, forse più attuale oggi di ieri: Giuseppe Mazzini. La scelta del regista Filippo Gili e dell’attore Edoardo Sylos Labini di prendere Mazzini come voce narrante ha appunto a che fare con quella dimensione interiore che caratterizza quest’operazione; e dunque non figure emblematiche, gloriose come Garibaldi, oppure statisti illuminati e preveggenti come Cavour, ma colui che più di tutti si impegnò, credette in quell’idea e alla fine giunse a ripudiarla, a vivere da esule e soprattutto a chiudersi nel silenzio fino alla fine, coerente con l’Italia che aveva sognato e non con quella che vide di fatto avverarsi. A partire da questa esigenza di raccontare gli avvenimenti del Risorgimento con i moti del cuore e non della guerra, tutto lo spettacolo viene costruito in quest’ottica: un effetto sicuro lo gioca quel ponte – simbolico e concreto – gettato tra palco e platea, su cui corre incessantemente la figura inquieta di Mazzini, dove poche luci giocano con una scena essenziale costituita da un paio di tavoli, separati, per leggere e per scrivere, un divano e un busto dominante di Cavour. Su questo ponte Labini/Mazzini si muove, combatte, parla, grida, sussurra, si rivolge incessantemente al proprio passato, a sua madre, ai propri pensieri, ma soprattutto agli amati testi di poeti ed amici che accompagnano il suo cammino verso la storia, da All’Italia di Leopardi, a Manzoni, alle Lettere di Jacopo Ortis. Ma non è mai del tutto solo, Mazzini: lo accompagnano – nella formula ormai nota del DiscoTeatro – note elettroniche che, insieme alle arie cantate del Trovatore verdiano (scandite e suonate alla consolle dall’interprete Babyra), paiono prendere una vita e un corpo propri, fino a trasformarsi in note suadenti di pacificazione quando i tumulti dell’animo strappano grida e disperazione, in mormorii carezzevoli di madre uditi durante il sonno. È una cavalcata di immagini interiori, di racconti intensi degli inganni da parte di figure un tempo compagne: Cavour e lo stesso Garibaldi, che con il suo “obbedisco” consegna di fatto l’Italia alla ragion di Stato. In un’ora e un quarto passano senza sosta le immagini di un Risorgimento diverso, più dimesso, fatto non più da migliaia di uomini, ma da uno solo che ripercorre i pensieri, le poesie, le aspirazioni di tutti; da tutti viene accompagnato e da tutti in qualche modo viene tradito. La drammaturgia così concepita da Filippo Gili è indubbiamente una scrittura potente, granitica, forte della fragilità di quell’individuo solitario che egli ha posto al centro di un qualcosa più grande di lui, destinato ad accompagnare la Storia, ma non a riconoscersi in essa. Ugualmente precisa, intensa, senza smagliature è la prova di Edoardo Sylos Labini, che non ha un attimo di esitazione o di smarrimento, circondato in ogni momento dal suo uditorio, cui offre una presenza scenica indiscutibile e una voce pulita e carismatica, completamente fuso con il proprio personaggio, cui regala tutto. Qualcosa però non ha funzionato: mentre i minuti passano si avverte una mancanza di coesione tra tutti questi elementi presentati, per cui la dimensione letteraria e musicale che, come abbiamo detto, ritma costantemente lo spettacolo, di fatto rimane lontana, staccata, straniata dal contesto personale del personaggio Mazzini, che si serve sì di testi e di musiche, ma in qualche modo come in un ‘a parte’ costante, che non aiuta la fluidità della pièce, né la sua credibilità. Vi sono dei momenti di sofferenza uditiva di passaggi letti o cantati, che si perdono in un sottofondo indistinto e non possono essere colti nella loro interezza. Il progetto – come già altri promossi e interpretati da Sylos Labini – è ambizioso e consapevole, ma forse non del tutto omogeneo, come se qualcosa inevitabilmente fosse sfuggito alle maglie della regia e dell’economia dello spettacolo, portando l’attore a contare molto sulle proprie forze e sulla propria interpretazione di un personaggio sicuramente sentito, ma non del tutto trasmesso.
Visto il 30-03-2010