Un condominio e una guerra civile, forse, sicuramente la pioggia. Un condominio, 4 condomini e la pioggia. Un condominio, un cadavere che ostruisce l'uscita e la pioggia. Un condominio, uno specchio e la pioggia. Un condominio, un dittatore e la pioggia... forse no la pioggia smetterà.
Discorsi alla Nazione – uno spettacolo presidenziale – di e con Ascanio Celestini è un lento ma inesorabile guardarsi allo specchio: ci si riconosce, ci sorridiamo benevoli, poi si ride delle nostre contraddizioni, iperbole ma poi, guardando bene sotto le pieghe dell'ipocrisia, riconosciamo il nostro essere cittadini, sudditi di una qualche tirannia.
Lo spettacolo inizia prima di iniziare, l'entrata in sala è accolta da un brusio di sottofondo che al solito vociare del pubblico aggiunge, mischia altre voci: frammenti di discorsi di personaggi capi politici o religiosi del presente e del passato. l'impressione è che siano tra noi, come noi, in attesa. Con fare amichevole, naturale, arriva sul palco Celestini, le luci di sala ancora accese, sembra dare brevi informazioni di servizio - come l'invito a spegnere il cellulare, dare alcuni cenni di spiegazione sul testo- invece è già spettacolo, giocosa ironia sul teatro d'avanguardia. Ha rotto la quarta parete per parlare direttamente allo spettatore, per entrare subito in confidenza: non te ne accorgi, ma lui ti ha già coinvolto. Siamo al primo sguardo nello specchio: ci riconosciamo e sorridiamo. Frasi che echeggiano e si ripetono, lentamente le sue parole avvolgono e ti ritrovi a seguire il suo pensiero di sinistra condividendo i suoi passaggi fino a renderti conto che quel pensiero è una musica stonata senza armonia più alcuna. “Io sono di sinistra, però…”, ed è quel “però” che progressivamente con la magia delle parole ti fa pensare cose che non vorresti. Quel fiume di contraddizioni non è solo appartenete ai nostri “politici di sinistra” ma è dentro tutti quelli che si sentono di sinistra.
Si spengono le luci in sala per guardare meglio in quello specchio che di fronte a noi amplifica giocando con iperbole le nostre certezze, il nostro perbenismo borghese, il nostro qualunquismo, la nostra sicurezza di non avere responsabilità, il nostro razzismo latente: in poche parole con le nostre solitarie e silenziose guerre civili.
Quattro condomini, quattro distinti personaggi ci raccontano della loro personale guerra civile per essere invisibili e non soffrire ( l'uomo qualunque), per difendere il proprio ombrello dai senza ombrello perché è così da generazioni ( l'uomo con l'ombrello), per continuare il proprio lavoro di cecchino sociale (l'uomo con il fucile), per perseguire il proprio metodo di autocontrollo nelle relazioni con l'altro ( l'uomo con la pistola). Ognuno illuminato da una solitaria e personale luce – anche fisicamente in scena creando una suggestiva e funzionale scenografia - è concentrato solo su di se, sul suo piccolo campo di battaglia, ciò che li accomuna è il non sentirsi infondo responsabili, l'ignorare le guerre civili intorno a loro e, soprattutto l'essere infastiditi da questa pioggia costante che sembra non finire mai.
Ormai il processo di riconoscimento è completo lo specchio ci ha restituito la nostra vera immagine e al dittatore (ultimo personaggio interpretato da Celestini) non resta che tirare le fila di tutto senza usare la forza o essere autoritario: amichevolmente. Come solo i nuovi imbonitori sanno fare, ci spiega come i concetti, le ideologie le lotte di sinistra sono state disattese da chi l'ha inventate e creduto ma ben utilizzate da chi ora, come sempre, ha governato.
Perché diciamolo:
“CITTADINI! Lasciate che vi chiami cittadini anche se tutti sappiamo che siete sudditi, ma io vi chiamerò cittadini per risparmiarvi un’inutile umiliazione”, la differenza tra democrazia e tirrania non esiste.