Lirica
DON GIOVANNI

Don Giovanni a New York

Don Giovanni a New York

Era da tempo che non si vedeva a Genova un teatro così pieno e attento: merito del titolo forse, di interpreti di richiamo, del lavoro di rilancio fatto dall’Ente genovese. Comunque sia, la prima di Don Giovanni ci ha fatto ritrovare un teatro di nuovo vitale e questo, dopo anni d’incertezze, è davvero un successo.

L’allestimento andato in scena al Carlo Felice, ideato da Rosetta Cucchi per i teatri di Modena, Piacenza e Lucca, ambienta la storia del seduttore in una New York  anni ’80 edonista e superficiale; Don Giovanni è un uomo di spettacolo avviato a una deriva fisica e morale che si compiace, oltre che dei fans che affollano il suo locale, di essere continuamente fotografato da Leporello nei suoi vizi ed eccessi; un Don Giovanni degenerato, vuoto e corrotto, superficiale e autodistruttivo, che cammina in bilico sulla scena come sull’orlo di un baratro. La regista ha tante idee e l’ambientazione scelta ci può stare, ma non è completamente sfruttata e risulta quindi poco rilevante dal punto di vista drammaturgico; inoltre alcune trovate risultano già viste: troppi Don Giovanni “originali” negli ultimi anni.
Don Giovanni viene ferito dal Commendatore e per tutta la durata dell’opera la ferita (fin troppo esibita) ci segnala come sia impegnato in una lotta contro la morte (come nel Don Giovanni di Guth). Leporello fotografo (l’idea non è nuova) ci può stare, ma la trovata è ripetuta all’eccesso e annoia. Ed è proprio questo il limite dell’allestimento: indulgere in dettagli che, anziché aggiungere contenuti, affievoliscono una buona intuizione di fondo.

L’impianto scenico di Andrea Micheli, efficace nella sua sobrietà, ambienta la prima parte dell’opera in un esterno davanti all’entrata di una discoteca con un taxi giallo in primo piano, dentro cui  Don Giovanni approfitta di una Donna Anna decisamente consenziente. Saranno i fotogrammi in bianco e nero un po’ sfuocati e proiettati sullo schermo (scatti da paparazzi di una scena di sesso in un taxi) che sgorgano dall’inconscio durante il racconto a Don Ottavio a chiarire la dinamica dell’evento. Tale intuizione, se pur non esente da volgarità, funziona, dissentiamo piuttosto dall’aver banalizzato Donna Elvira: un’entraineuse sfiorita, tutta oro e paillettes, che s’impasticca in modo caricaturale e compulsivo. Di troppo anche le controscene con le “groupies”  assiepate fuori dal locale, per non parlare dei due demoni alati che animano la festa da ballo di Don Giovanni e che ritroveremo nel finale coperti di sangue per dare la morte al libertino.
La seconda parte dello spettacolo risulta più coerente e drammaturgicamente efficace in quanto maggiormente focalizzata sui caratteri principali e priva di inutili controscene. Il  cimitero è una selva/camera oscura con appese le foto che  Don Giovanni si è fatto scattare per alimentare il proprio mito personale; ma che nel contesto funzionano come una condanna e, fra tutte le immagini in bianco e nero, c’è quella a colori del Commendatore. Alla fine i personaggi raccontano a un poliziotto la loro versione dei fatti  e capiamo, vedendo sul fondo della scena Don Giovanni morto accanto a taxi e commendatore, che il libertino è morto all’inizio dell’opera. Si è trattato di un flash back? Forse. Ma se cosi fosse, di chi?

Se ci possono essere delle perplessità sul piano registico, nessuna riserva dal punto di vista dell’esecuzione, merito di un’ottima compagnia di canto e di un’orchestra di nuovo in forma. E ci fa piacere sottolineare l’affiatamento che si è creato fra cantanti giovani e nomi importanti della lirica a partire dal protagonista, Erwin Schrott, considerato a giusto titolo il Don Giovanni di riferimento della sua generazione. A Genova ha cantato solo la prima, ma al teatro genovese lo lega un affetto forte in quanto è stato proprio dopo il Don Giovanni del 2005 (con regia di Davide Livermore) che la sua carriera ha avuto una svolta internazionale. Un fuoriclasse capace di rendere comprensibile e vera qualsiasi intenzione registica e applaudiamo, oltre alla voce splendida, il  gesto naturale e pertinente, la varietà dell’inflessione e di un “parlato” (e i puristi storcano pure il naso!) che sa di teatro autentico frutto di un’illuminazione improvvisa.
Alex Esposito lo abbiamo spesso visto nel ruolo di Leporello e ancora una volta ne lodiamo, oltre alla voce solida e brunita, lo stile musicale. Come in altre occasioni si avverte la sintonia con Don Giovanni/Schrott con cui ha spesso condiviso il palcoscenico, e non a caso  il servitore riproduce alcuni vezzi linguistici del padrone  (come ad esempio la nasalizzazione di “Francia” nell’aria del catalogo). Il suo Leporello è decisamente caustico e soffre nei confronti di Don Giovanni d’invidia mista a spirito di emulazione.
Fra i tanti motivi d’interesse citiamo il debutto nel ruolo di Donna Anna di Serena Gamberoni. La Gamberoni vince la sfida in quanto delinea con voce duttile e luminosa, sempre omogenea nei passaggi (anche in quelli più scabrosi) una Donna Anna interessante nella sua ambiguità, oscillante fra perbenismo e desiderio di trasgressione. Maija Kovalevska è dotata di  voce importante per colore e volume e di una presenza scenica innata, peccato che la produzione ne abbia dato un’interpretazione riduttiva senza valorizzare tutte le sfumature di Elvira. Patrick Vogel, merito di una voce gradevole per timbro e colore (da affinare la tecnica), ha incontrato fin dalle prime battute il favore del pubblico e per una volta Don Ottavio ha acquisito un insolito carisma. Della coppia di popolani ci è piaciuta soprattutto Sophie Gordeladze per la voce armoniosa e una presenza scenica istintiva che ha reso Zerlina interessante oltre che credibile. Preciso e sonoro il Masetto di Francesco Verna. Graeme Broadbent è un Commendatore di voce solida e scura.

Bene per precisione ed equilibrio la direzione di  Christoph Poppen che ha saputo infondere alla compagine orchestrale giusto nitore e leggerezza. E forse anche per merito della concertazione  che le voci sono risultate omogenee e affiatate. Ottima la prova dell’orchestra, buona quella del coro preparato da Patrizia Priarone.

Meritatissimi applausi per  tutti gli interpreti alla fine e qualche (moderato) dissenso per la regia. Da non perdere.

Visto il 30-01-2016
al Carlo Felice di Genova (GE)