Prosa
ENRICO IV

Shakespeare ha giocato un bru…

Shakespeare ha giocato un bru…
Shakespeare ha giocato un brutto tiro al tentativo coraggioso del regista Bernardi; Enrico IV non è un’opera che si veda spesso sopra i palcoscenici e forse il motivo c’è. Ridurre i dieci atti delle due parti di cui è composta a due ore e mezzo scarse di spettacolo ha portato molte ombre e non altrettante luci. Consapevole di questo la regia ha sfoltito notevolmente il testo – soprattutto la seconda parte, dedicata all’ascesa al trono di Enrico V – per puntare sugli intrighi di corte contrapposti alle gesta di Falstaff e del giovane erede al trono. Lo spettacolo si concentra infatti sulla presenza stessa degli attori e su uno spazio piuttosto spoglio e anonimo, fatta eccezione per il monumentale trono, simbolo della potere e della solitudine del re, e per una taverna composta da un unico tavolo e da una parte divisoria. Sono le simbologie che dividono i due mondi di Shakespeare: la corte e la bettola. Tre sono le figure che abitano questa dimensione, circondate da una corte e da compagni di bisboccia che passano abbastanza inosservati. A Re Enrico (IV) da voce la prestazione corretta e convincente di Carlo Simoni, misurato ma efficace. Il suo giovane rampollo, il futuro Enrico V, la sorpresa della compagnia, è Corrado D’Elia, cui il ruolo double face di un giovane solo all’apparenza dissoluto, in realtà ben conscio del potere e del suo peso, calza a pennello, in un’interpretazione degna di essere ricordata per l’energia e l’emozione vissuta direttamente nel corpo e nella voce. Il terzo personaggio, nonché colui su cui si posano le luci della ribalta e la penna del Bardo, che efficacemente tratteggiò il suo Fool migliore, è John Falstaff alias Paolo Bonacelli. Gran parte dello spettacolo, sia registicamente che artisticamente riposa sulla presenza scenica del vecchio attore: è stata forse una manovra arrischiata. Bonacelli ha scelto per il suo Falstaff un’interpretazione quasi in sordina in cui i toni gai e sfrontati di un qualunque buffone acquistano sfumature leggermente bofonchianti e piagnucolose. È un personaggio che in qualche modo si impone, non fosse che per la “mole” del corpo, ma non siamo del tutto certi che gli applausi che più volte hanno salutato a scena aperta entrate e uscite del mattatore siano stati più che altro un omaggio ai trascorsi e non ai presenti meriti dell’artista. Personaggi che sfuggono di mano, una regia e una messa in scena riuscite a metà, un adattamento linguistico che qualche volta, per assecondare modernità e scioltezza, perde in ricchezza e vivacità: il bilancio finale sconfigge la lucidità e l’efficacia di un Enrico IV che andava peraltro mostrato, in un momento in cui i palcoscenici d’Italia preferiscono assicurarsi applausi da parte di generi più fruttuosi, almeno dal punto di vista meramente gastronomico Roma - Teatro Eliseo 27 marzo 2007
Visto il
al Eliseo di Roma (RM)