Avevamo già visto questo Favole anni orsono, nello scorso millennio, quando era rimasto in scena per quattro anni di repliche.
Lo abbiamo ritrovato nello stesso teatro, con la stessa splendida efficace scenografia di allora che, rivoluzionando l'architettura del teatro borghese, pone il pubblico la centro dello spazio e fa muovere attori e attrici tutt'intorno.
Non abbiamo parole adeguate per per restituire l'impatto emotivo ed estetico di un allestimento che costituisce un'esperienza unica nel suo genere, anche per chi già conosce le regie di Sepe.
L'omaggio a Oscar Wilde, le cui foto campeggiano incastonate nella scenografia, diventano, grazie alla regia elegante e geniale di Giancarlo Sepe occasione per esplorare prima ancora che i contenuti delle fiabe, l'epoca nella quale sono state scritte, una certa atmosfera, una precisa cultura teatrale e spettacolare.
Rifacendosi a forme teatrali e d'intrattenimento ormai perdute nella memoria, dal Kaiserpanorama al Diorama, rivisti e corretti all'uso contemporaneo ma sempre squisitamente analogici, Sepe allestisce per i 32 spettatori che la struttura teatrale-scenografica può ospitare, uno spettacolo di suggestioni sonore visive e fisiche.
Impiegando una serie sorprendente di effetti ottici, tutti squisitamente analogici, dai velatini che opportunamente illuminati ora mostrando ora celano cosa si trova al loro di là, alle luci che illuminano solo parti del copro, volti, mani, arti, che, sapientemente mosse, divengono scie luminose e indistinguibili come certi dipinti di Francis Bacon, Sepe allestisce un omaggio totale al corpo desiderante dell'uomo e della donna un corpo mostrato non già nelle sue differenze sessuate ma accomunato dallo stesso afflato desiderante che travolge ogni distinzione di genere e orientamento sessuale e ogni separazione sociale, culturale o antropologica.
Sepe richiama le nostre emozioni più profonde facendole baluginare sulla scena grazie all'ausilio di sei tra attori e attrici che si muovono alla perfezione in una scena complessa che li mostra al pubblico tramite finestre di varie dimensioni che ora ne ritagliano determinate parti del corpo ora ne mostrano
l'intera figura, mentre alle loro spalle una tenda svolazza nelle sere d'estate, una porta si apre verso la
notte, il giorno, la pioggia.
Dettagli atmosferici nei quali inserire silenzi e desideri umani, desideri di uomini e di donne che si cercano, si desiderano, si abbracciano un desiderio mai consumato, dove il gesto sottolinea la mancanza, la rimozione, la separazione, la rinuncia.
Un desiderio mai esclusivamente omoerotico, restituito splendidamente dalla presenza fantasmatica ma concreta di un corpo maschile poggiato a un muro che si offre allo sguardo del pubblico, ma, smepre anche dell'uomo per la donna e della donna per l'uomo, che si cercano, si sfiorano, si abbracciano, senza ottenere mai soddisfazione.
Un desiderio umiliato, frustrato, mutilato dalle convenzioni sociali, quelle vittoriane dell'epoca in cui visse Oscar Wilde non poi così diverse da quelle contemporanee codificate nei ruoli di genere che vogliono ancora che la donna e l'uomo coltivino emozioni e comportamenti diversi.
Desiderio, frustrazione, difficoltà di cambiare, di mostrarsi per quel che si è, che diventano emozioni anche del pubblico nel momento stesso in cui sbirciano il lavoro performativo degli attori e delle attrici che si muovono tutto intorno a loro.
Una palestra emotiva come dice Sepe nelle note di regia, dove personaggi timorosi di esprimersi, grazie alla favola che irrompe e sovverte il sentimento prudente, trovano l’ardire per esercitare la loro passione.
Pochi i brani recitati (due monologhi, splendidamente interpretati da Federica Stefanelli e Gianluca Merolli) per uno spettacolo fatto dal corpo vivo degli attori e delle attrici che mettono un po' del loro vissuto per dare credibilità totale a un riuscitissimo incontro tra teatro sogno e sguardo dello spettatore, sguardo al quale i personaggi/presenze si offrono, complice una complessa partitura sonora che glossa, commenta, esorna.
Uno spettacolo da vedere, rivedere e sostenere, al quale auguriamo una seconda felice e altrettanto lunga stagione di repliche.