Nel corso di una prova di Finale di partita allo Schiller Theatre di Berlino, Beckett disse: “Hamm è il re in questa partita a scacchi persa sin dall’inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore avrebbe già rinunciato da tempo.”
Massimo Castri, per la prima volta a confronto con il testo beckettiano, riprende l’analogia con la partita a scacchi, e inventa per questa messa in scena uno spazio scenico giocato come una scacchiera. Senso della sfida quindi: ma anche senso della fine, a cui contribuisce la scenografia di Maurizio Balò, nella sua asciutta nudità di bianchi e neri predominanti sotto luci grigie.
Questa scacchiera, che richiama de Chirico per l’essenza metafisica ,si carica di più significati e cambia di segno più volte: è palcoscenico, arca, bunker atomico, interno di un cranio umano.
Hamm e Clov, servo e padrone legati da un legame di reciproca dipendenza, vivono un rapporto ambivalente da cui Clov tenta con le intenzioni di fuggire, ma pare non esserne capace. Il dialogo fra i due è gestito con il ritmo di una partita a scacchi da cui nessuno può realmente uscire vincitore. Come da copione, ma solo in un secondo momento, si rivela la presenza in scena di Negg e Nell, entrambi privi delle gambe e relegati in un cassonetto da cui parlano con studiati falsetti che si adattano con efficacia al testo (“Non c’è niente di più comico dell’infelicità”)
“Rileggendo Finale di partita - ha dichiarato Castri - mi sono trovato a fare alcune considerazioni molto semplici: la scritta di Beckett fa il paio con quella d Cecov nelle Tre Sorelle, lavoro che ho messo in scena un paio di anni fa, per la sua asciuttezza ed essenzialità (…)”
L’essenziale efficacia del dialogo trova sensibilità interpretativa nel protagonista Vittorio Franceschi; la precisione dei toni, anche questa filologica, non impedisce l’imprevedibilità dello scambio di battute, che procede senza lasciare immaginare quale direzione la messinscena prenderà. Fino a quando, nella seconda parte, il senso della reiterazione lascia chiaramente intendere quello che un bravo giocatore avrebbe capito da tempo: che cioè si sta soltanto “(…) Cercando di rinviare l’inevitabile fine”.