Diciamolo subito, la sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un vero evento. Prima ancora di analizzare la presenza della regia, le prove attoriali, i dettagli della tecnica e quant'altro, quello che colpisce è proprio il risultato d'insieme che regala un sentore particolare, che si spiega sia coi dettagli che con la riuscita complessiva.
Andiamo con ordine. Anzi, procediamo per dettagli, quelli che fanno spesso la differenza, da subito, dall'accoglienza in una stanza che Maurizio Balò disegna con una scacchiera bianconera per pavimento, simbolo della partita di cui si sta giocando solo il finale, e da un'ambiente limpido quanto nudo, lasciando subito intravedere un Beckett rigoroso e quasi autoritariamente essenziale.
O anche da un sorprendente e riuscitissimo Clov (Milutin Dapcevic) impietrito nei movimenti che suggeriscono ben più e ben altro che una gamba offesa, gesti cadenzati nell'espletamento delle cose quotidiane fino alla mania, e singulti inverosimili in luogo di una risata. Ed ancora, i genitori di Hamm che sbucano d'improvviso dai loro bidoni con fare burattinesco, che fa risaltare particolarmente una delle battute più famose della pièce, affidata alla madre Nell: "Non c'è niente di più comico dell'infelicità". O infine, dulcis in fundo, un Hamm che l'eccellente Vittorio Franceschi rende più vedente di chi ha dieci decimi, sostituendo alla sua cecità la vista della presenza corporea pur non muovendosi mai dalla sedia cui è condannato: controlla Clov con un gesto accennato, dispone di lui con un'espressione del viso o alterando la voce, fa le sue mosse “scacchistiche” attraversando atteggiamenti che sono sapienti danze prima di spietatezza, poi di comprensione e finanche di compatimento...
Scelgo questa attenzione al dettaglio ed alla regia di Massimo Castri, perché parlare di Finale di partita, in sé, non è “difficile”: lo diventa invece, e molto, se ci si vuol trovare un'interpretazione che scenda nei meandri beckettiani per risalirne con un'idea che ne faccia risaltare gli aspetti formali e tematici senza concedere troppo ad intellettualismi eccessivi, considerando che è uno dei testi senza dubbio più discussi, studiati ed analizzati, al punto estremo ed esemplare di aver trovato in Theodor Adorno uno studioso talmente appassionato da risultare quasi del tutto incomprensibile, o quantomeno di comprensione molto difficile (e comunque di certo più difficile dello stesso testo di Beckett... in Trying to Understand Endgame del 1961, Adorno sostenne ardite tesi che continuò a difendere persino dopo che lo stesso Beckett esplicitamente e personalmente gli contestò vis-à-vis...), fino ad una dotta ed originale spiegazione come quella di Andrew Hugill per interpretare Finale di partita nientemeno che in chiave tecnico-scacchistica.
La trama, come è noto, vede Hamm, cieco e condannato a stare su una sedia a rotelle e Clov, il suo servo, in un perenne rapporto conflittuale, fra litigi che non impediscono ed anzi accentuano una reciproca dipendenza spesso incomprensibile a loro stessi: Clov vorrebbe continuamente andarsene, Hamm sembra non trattenerlo, ma questo sviluppa un gioco di attrazione e repulsione che fanno da mossa e contromossa scacchistica. Incombe, di tanto in tanto, anche la presenza degli anziani genitori di Hamm, privi degli arti inferiori ed ospiti di bidoni della spazzatura. Durante le prove allo Schiller Theatre di Berlino, Beckett disse: "Hamm è il re in questa partita a scacchi persa sin dall'inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore avrebbe già rinunciato da tempo. Sta soltanto cercando di rinviare l'inevitabile fine."
Certo, nonostante egli stesso sostenesse anche che non ci fosse niente da spiegare, perché tutto veniva già detto nel testo, i riferimenti psicanalitici, metafisici, simbolici ed allegorici sono tali e tanti che viene quasi istintivo giocare a trovarne.
Ci sono però dettagli, parole che segnano il confine fra i testi, come quando Hamm, il vecchio Re, diventato infine oltre che un pezzo da difendere anche uno strumento di attacco, dice: "Finita. È finita. Forse sta per finire. […] è ora di farla finita, tuttavia esito...", ed entrambi, in un balletto dell'assurdo molto realistico...:"Perché rimani con me?" e subito l'altro: "Perché mi tieni con te?", e così tanti altri spunti all'interno dei conflitti fra i due, anche metateatrali (“A che servo io?” - “A darmi la battuta!”), tutti tranne uno, l'unica cosa alla quale Clov non risponde mai, ovvero la sollecitazione a volte ordinatoria, altre autocompatita di Hamm: "Perdonami!"
Vittorio Franceschi anzitutto, ma anche gli altri interpreti di questa edizione perfetta, affondano le mani nel Beckett meno interpretato e più preciso, e quel che tirano fuori è un finale di partita sicuramente ed obbligatoriamente persa, che forse però significa anche aver finito (finalmente) di perdere... ed è una fine coperta soltanto da un vecchio straccio, con cui ancora una volta Hamm, il vecchio Re, si ricopre dicendo “Tu resterai con me”.