Lo spettacolo della compagnia di Pontedera potrebbe essere raccomandato al pubblico che desidera diagnosticare la propria nevrosi secondo il metodo di Pirandello: per non finire la vita in un manicomio, non date mai troppo peso a quello che gli altri dicono o pensano di voi.
Roberto Bacci ha messo in scena l'ultimo romanzo del premio Nobel, definito dall'autore stesso come "più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita". Il protagonista, un uomo che vive di rendita grazie all'eredità del padre-banchiere potrebbe essere considerato il classico caso quando "anche i ricchi piangono". Un'innocua e scherzosa osservazione da parte della moglie improvvisamente scatena in lui un pensiero fisso che le persone che gli stano intorno hanno un'immagine della sua persona completamente diversa dalla sua. Da quel momento egli inizia ad avere una crisi di identità e il suo obbiettivo principale diventa scoprire chi è veramente.
Malgrado del romanzo il regista abbia lasciato ben poco, proprio le parole che rivelano la preoccupazione del protagonista a proposito della forma del suo organo olfattivo, ripetute diverse volte, in fin dei conti rimangono le uniche che si riesce a captare in modo intelligibile da tutto il testo del classico della letteratura italiana.
Lo spettacolo non risulta né amaro, né umoristico, ma indubbiamente parecchio scomposto. La comprensione che i tre attori in camice garibaldine (probabile allusione alle origini dello scrittore) stiano interpretando la disgregazione dell'Io individuale di Vitangelo Moscarda, Gengé come lo chiama la moglie, non arriva immediatamente, soprattutto senza aver mai letto l'opera originale. Ma a poco a poco, intanto che gli attori si galvanizzino vicendevolmente, vari indizi cominciano a creare il sospetto che non sono nient'altro che le tre personalità di Vitangelo Moscarda che disperatamente cercano di mettersi in contatto l'una con l'altra, assumendo nel frattempo ora l'aspetto della moglie, ora del suocero del protagonista, ora dell'amica della consorte… La tensione, che sin dall'inizio è già alle stelle, infiamma sempre di più la mente toccata del povero usuraio. Le camice si impregnano di sudore, le sedie volano, la saliva spruzza verso la sala…. Sembra che le parole "ritmo" e "più forte" (entrambe con i punti esclamativi) siano state le uniche due che il regista articolava durante le prove.
Insomma, osservare tutto questo è curioso. Costruire un quadro generale dell'opera invece non si presenta assolutamente possibile. Tanto meno provare un minimo di compassione per lo sventurato personaggio. A mеno che era proprio questa idea del regista: lasciare che anche i ricchi piangono.