I Shake you = I Love you

I Shake you = I Love you

In questo spettacolo non si parla di Shakespeare ma ‘con’ Shakespeare, attraverso Shakespeare, che diventa un pretesto. Due mondi: il mondo del cabaret si incontra con il mondo del teatro, è la voglia di raccontare le passioni e le delusioni di questo mestiere ma anche i dolori e i desideri di un uomo e una donna che non si incontrano mai se non attraverso i versi dell’autore, quando si fanno impossessare dai personaggi, come demoni arcaici. Volevo inoltre ricondurre la figura dell’attore alla dimensione di persona creando una dicotomia tra personaggio e uomo”. Le  note di regia dell’autore e regista Diego Carli sono estremamente utili per comprendere come in quest’operazione teatrale poco sopravviva dello spirito del Bardo britannico, che peraltro è sempre ben presente, non fosse che in quello “Shak(e)” iniziale, da coniugare con una locandina a forma di cuore.
Shakespeare dunque come presenza, ma soprattutto come pretesto per contrapporre l’uno di fronte all’altra due attori e al contempo un uomo e una donna, soli e consapevoli della propria (doppia) identità. Si intuisce che il fulcro dell’incontro è il teatro, il “mestiere” come lo vivono entrambi: in maniera scanzonata e pratica Roberto (Roberto Bonotto), cui interessa fondamentalmente avere successo nel suo spettacolo comico e sbarcare un’altra serata, mentre lo fronteggia un’ispirata, a volte quasi saccente, Laura (Laura Murari), un’attrice di prosa che ha già troppe delusioni dietro le spalle e non ha voglia di piegarsi a un altro imbarbarimento della vocazione teatrale, come ritiene l’attività del collega. L’unico ponte possibile tra due universi così differenti appare il Personaggio shakespeariano, ovvero quella miriade di caratteri creati dal genio inglese che i due, quasi inconsapevolmente, si trovano a rilanciarsi l’un l’altro come tesi e fondamento del rispettivo modo di vedere e calcare il palcoscenico.
Fedele all’equazione amorosa che non manca mai anche nel più cupo dramma elisabettiano, anche come assenza, il regista poco a poco costruisce una tessitura fitta e irrevocabile in cui i due protagonisti, trascinati dai propri personaggi, restano fatalmente invischiati. Da Amleto a Lady Macbeth, da Petruccio a Caterina, poco a poco le idee e le battute pungenti si smorzano mentre cominciano a venire fuori le passioni e i nodi di sofferenza e di speranza comune, mentre i due attori si accostano sempre di più, sostituendo le occhiate e le parole mordaci con un barlume di comprensione, una confidenza quasi improvvisa, uno scherzo e un motivo di danza. Equilibrista tra suggestioni classiche ed esigenze moderne, Carli muove in controtempo Attore e Personaggio e piano piano fa uscir fuori l’umanità e il primo accenno di un’attrazione genuina, un bacio dato quasi per caso fa intravedere altri universi possibili di esplorazione.

E’ allora che come a tradimento la forza oscura del palcoscenico, l’eccesso di immedesimazione, propone un ultimo indovinello fatale: sarà di nuovo personaggio, di nuovo battuta ineffabile di Otello/Claudio, il brivido che serra le spalle di un’ammutolita ma non del tutto convinta Desdemona/Laura mentre incoscientemente, ma lucidamente offre la gola alle mani dell’amante tradito di tutti i tempi? Sarà Teatro o vita vissuta l’ultima duello verbale, l’ultimo abbraccio mortale tra i due? E’ Claudio a darne la risposta con un finale repentino che coglie il pubblico attonito, dove la fuga di lui da una parte, l’immobilità di Laura dall’altra non concedono neppure il tempo di un applauso.

La drammaturgia sottile e intelligente di Diego Carli di fatto riesce ad offrire uno spettacolo inedito e al contempo universale nella sua ricerca di conflitto come pure di unità, dove il teatro, il mestiere si scontrano e al contempo armonizzano con l’inevitabile realtà che è il corpo e l’anima di un attore impegnato in un ruolo, diviso da se stesso, ma unito con il compagno di scena, involucri di parole rubate, ma anche di emozioni, di verità esposte, per le quali il prezzo da pagare non appare mai abbastanza alto. Lo servono, strumenti generosi, Murari e Bonotto, attori veri e dunque consapevoli che non esiste gesto, o intenzione, o parola che possano essere recitati in maniera “assoluta” e perfetta. Ognuno dei due,  nelle proprie peculiari caratteristiche espressive e tecniche, mette in scena se stesso mettendo in scena l’Altro da sé (il Personaggio) e lo spettatore sarà sempre di fronte a questa dualità che, da sola, garantisce il successo di uno spettacolo, la riposta a un’eterna domanda: “siamo o rappresentiamo? cosa vediamo dall’altra parte dello specchio?”.