La lezione di Pirandello

La lezione di Pirandello

Essere o apparire, smascherare o mentire: il conflitto, il doppio, il gioco delle parti, sono questi alcuni tra i più conosciuti frammenti dell’universo pirandelliano, che nel celeberrimo “Berretto a sonagli” composero uno dei mosaici più sofferti e realistici, mettendo in campo una vera e propria battaglia in un salotto borghese, campo da sempre prescelto dal drammaturgo siciliano, opponendo uno contro l’altro mogli e mariti, madri e figli, fratelli e sorelle e soprattutto il buon costume dell’ipocrisia e tolleranza borghese contro l’irriducibile pulsione alla verità e alla perdita di sé e del mondo conosciuto fino ad allora.
La crociata di Beatrice, rispettabile moglie dell’egregio commendatore Fiorica, notoriamente fedifrago con la giovane moglie del suo impiegato Ciampa, la bella Nina, è destinata a sconvolgere il fragile equilibrio borghese di una famiglia che non intende esporsi al pubblico ludibrio di una società ipocritamente benpensante, manipolatrice di ogni verità che non sia opportunamente taciuta.

Luigi Rendine, regista della pièce, e direttore dell’Accademia Scharoff, coordina il suo gruppo di giovani e meno giovani diplomati in un’indagine all’interno del mondo pirandelliano, riproponendo l’eterno conflitto non solo tra i rapporti sociali e famigliari, ma soprattutto – come egli stesso descrive nelle note di regia – l’ambiguità all’interno stesso dei protagonisti, ognuno dei quali è teso al compromesso tra le proprie aspirazioni e le proprie umane debolezze. L’unico ad esporlo chiaramente è il personaggio protagonista di Ciampa, lucido e spietato detentore della teoria delle “tre corde” (civile, seria e pazza) che sola rende possibile la convivenza con se stessi e con gli altri, salvando al contempo il rispetto che ogni uomo merita come “pupo”, maschera ma essere umano al contempo.
Proprio in questo nodo fondamentale dell’azione scenica tuttavia viene meno la  realizzazione dei propositi del regista, che non riesce a comunicare questa verità, attraverso i suoi attori, che appaiono ancora immaturi nel ritmo e nella credibilità dei propri personaggi e delle molteplici intenzioni che stanno alla base della loro costruzione. Così, sottotesto, pensiero logico e le necessarie pause tra una battuta e l’altra vanno assolutamente perse a detrimento dello spessore e profondità dei ruoli, con forse l’unica eccezione del delegato Spanò, interpretato dall’attore non vedente Germano Carella, lui sì ben guidato nello sfruttamento dei propri mezzi espressivi e, con grande naturalezza, complice proprio l’assenza di uno dei sensi dell’essere umano più fallaci e traditori, soprattutto sulle tavole di un palcoscenico, riesce a calibrare una giusta mescolanza tra ironia, semplicità, riflessività e ambiguità, dando vita a un personaggio che a differenza degli altri è destinato a non essere dimenticato troppo presto.
Pirandello è un duro maestro.