Il “gobbo” cui fa riferimento il titolo è un signore dall’aria tranquilla e leggermente imbambolata, con l’inevitabile gobba sulla schiena, che si muove quietamente tutto il tempo sul palcoscenico, accompagnando e servendo gli ospiti della sua locanda, due coppie di sconosciuti, più un giovane studente, destinati a dividere quello spazio per un breve periodo di vacanza.
A partire da quest’atmosfera incantata, Mrozek concepisce una delle sue commedie più ciniche, trasformando ben presto l’idilliaco soggiorno in un vero e proprio campo di battaglia, dove ognuno perde presto la propria maschera e si svela per quello che è. Il Gobbo, quasi sempre muto, è il parafulmine dove si scaricano paranoie, crudeltà e pregiudizi di tutti, un filo rosso che unisce i dialoghi e i pensieri, una bandiera dell’umanità semplice e senza preconcetti, nonostante tutto destinata a trionfare sull’apparente potere della borghesia, spogliata di tutti i propri orpelli a contatto con le passioni più elementari: passione, gelosia, tradimento.
Il regista, Valentino Orfeo, conduce il gioco in maniera sapiente, facendo balenare brevemente la possibilità di un quadro romantico e leggero, con la sua scenografia di prati verdi e patii leggiadri, per poi riempirlo di personaggi più falsi dei fiori di carta di cui amano circondarsi. Tra tutti domina il Barone (l’eccellente Paolo Buglioni), colui che per superiorità intellettuale e per presunzione è destinato a manipolare le menti e i desideri dei suoi compagni: dalla moglie disillusa all’avvocato credulone con la sua giovane moglie ingenua e un po’ sciocca, ma destinato a pagarne il prezzo, ritrovandosi più solo e sconfitto di tutti gli altri.
Lasciata leggermente da parte l’ombra della denuncia politica, tipica del teatro di Mrozek, il pubblico ha peraltro modo di assistere a una commedia efficace e non scontata, dove i dialoghi emergono potenti e intriganti, e in cui ogni personaggio brilla di luce propria. Convincente la prova di tutti gli attori, compresi i comprimari, dove spiccano le figure dello studente politico perso nei propri ideali tanto da isolarsi dal mondo stesso, e quella del funzionario che con le sue indagini irrompe intempestivamente nel fragile equilibrio della locanda.
L’ultima parola la dirà, o meglio la danzerà proprio il Gobbo, personaggio irresistibile e leggermente inquietante, perché in fondo specchio e riflesso delle nostre stesse anime.
Roma, 8 ottobre 2008
Teatro dell’Orologio – sala Orfeo
Visto il
al
Dell'Orologio - Sala Orfeo
di Roma
(RM)