Uno spettacolo complesso.
Il dramma di Heinrich von Kleist, autore tedesco vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento che in gioventù (prima di porre fine tragicamente alla propria vita) era stato nell’esercito prussiano (da cui si ritirò deluso), mette in scena i fatti riguardanti le imprese del principe di Homburg (interpretato da Lorenzo Gleijeses), giovane ufficiale della cavalleria brandeburghese, tanto impulsivo, quanto innamorato, solo e grottesco, il quale, sonnambulo, dopo essersi risvegliato nel giardino del palazzo con in mano un guanto da donna, suscita le ire dell’Elettore (Stefano Santospago) per aver vinto, contravvenendo ad un ordine, una battaglia contro gli Svedesi. Secondo le indicazioni che aveva ricevuto avrebbe dovuto trovarsi, invece, da un’altra parte. Incorso nella pena di morte, per evitare la quale intercede Natalia (Maria Alberta Navello), principessa d’Orange nipote dell’Elettore, si trova, con un inaspettato colpo di scena finale, a ottenere la vita salva e a coronare il suo sogno d’amore con l’amata fanciulla.
Il testo tratta il tema dell’obbedienza, ma anche della disobbedienza, dell’insubordinazione e di ciò che c’è dietro l’organizzazione della guerra. Non manca la storia d’amore.
Homburg crede di essere nel giusto solo perché ha vinto una battaglia. L’Elettore lo punisce con la pena di morte per aver contravvenuto i suoi ordini che, invece, prevedevano un altro tipo di intervento. Natalia lo salva per poterlo sposare. Il mondo, guerresco, degli uomini, pare completamente separato da quello delle donne, più delicate. Ma in realtà non è così. La forza motrice che porta a compimento la salvezza del nostro sfortunato eroe è affidata a una donna: Natalia. E’ una principessa, nipote del Principe Elettore e per questo ha potere. Ama ed è amata da Homburg e per questo lo salva.
Nel testo di von Kleist amore e strategia guerresca convivono. Non sono uniti nel personaggio di Homburg il quale, tutto sommato, non si rende neppure conto di quello che accade. Ciò che li unisce è un fattore più immateriale e che è dato dal confrontarsi (e dallo scontrarsi), in Homburg, dell’immaginazione con la legge e con l’ordine.
Lo spettacolo, nel complesso, è onirico, degno più del sogno che della realtà. Ciò è dovuto all’origine tedesca primo-ottocentesca del testo che pare, in questo, avere punti di contatto con opere di poco successive, come “Leonce e Lena” di Buchner. Ma è dovuto anche alla direzione registica di Cesare Lievi, regista esperto dell’area germanica (Paesi nei quali ha anche lavorato), avendo già diretto opere di Goethe, von Hofmannsthal e dello stesso von Kleist, e agli interessanti movimenti scenici e scenografici messi in atto. Tutto ha un senso,… forse più delle parole scritte da von Kleist (e tradotte dallo stesso Lievi) che a tratti risultano abbastanza complesse e poco agili.
Il cast (di 10 attori), affiatato e dalla presenza in scena energica e unitaria come fosse un unico corpo, è alle prese con un testo non semplice, poetico, scritto in versi e che richiede, quindi, un grande impegno. E questo è sempre mantenuto per 2 ore di spettacolo.
La trama propone delle battute da teatro tragico, degne di uno Shakespeare, ma i fatti raccontati e allestiti hanno spesso l’andatura di avvenimenti da commedia dell’assurdo o grottesca.
Lievi, in maniera rigorosa e studiata, dona all’allestimento un tocco di eleganza e propone un allestimento drammatico stilizzato nel quale sembra quasi avere più importanza l’immagine che la parola.
Persino le scenografie (di Josef Frommewieser), semplici, giocate su pochi toni freddi (così come anche i costumi curati da Marina Luxardo), funzionali e contemporaneamente armoniose, sembrano farsi “attori” e, dal canto loro gli attori si fanno immagine scenografica, entrando in piena simbiosi con l’ambiente allestito e dando luogo a tutta una serie sistematica di controscene che sono forse più interessanti ed illuminanti dell’azione principale.
Le azioni sceniche sono rigorose e pertinenti, in una simmetria di rapporti con lo spazio, con gli oggetti (le sedie o gli stendardi) e con gli altri personaggi.
Gli attori si relazionano continuamente all’ambiente, divenendo essi stessi parte dello spazio e della scenografia (immagine), spesso come un quadro di fondo.
I cambi di scena sono veloci e curati, producendo interessanti quadri figurativi.
Carino il finale con un secondo Homburg sul fondo che, sonnambulo, risale e si addormenta, su quella scalinata dalla quale era sceso all'inizio della pièce.
In conclusione, l’insieme dei movimenti della compagnia è strutturato in un’esecuzione impeccabile, partecipando a un organico collettivo che punta all’originalità dell’operazione registica voluta da Cesare Lievi.