Prosa
IL TRIANGOLO DEGLI SCHIAVI

Ambrogio Morra è il nuovo men…

Ambrogio Morra è il nuovo men…
Ambrogio Morra è il nuovo menestrello dell’ultima produzione di Ulderico Pesce. Anche lui ha un passato (e un presente) difficile da raccontare, a volte gridando, a volte sussurrando. Con lui, attraverso di lui, parlano le voci degli “schiavi”, dei nuovi immigrati: nigeriani, polacchi, venuti a cercare l’America in Italia, anzi in Puglia. Dietro queste figure emblematiche di un’Italia scomoda e poco pulita – quella dei “caporali” mafiosi e sfruttatori – si ritrova tutto un percorso che parte da prima della guerra, nelle terre dei migranti, dei pastori diventati braccianti, e dunque sempre schiavi. Schiavi da sempre. Su questa verità, su questo paragone storico, che accomuna le figure fissate nelle foto in bianco e nero, con i filmati dei nuovi sfruttati da oltre oceano, si costruisce la nuova storia di Ulderico Pesce, che da anni nelle sue storie, nelle sue crociate in giro per l’Italia, mescola l’antica arte del narrastorie con il recupero delle musiche del passato e delle voci del presente. Canzoni dal vivo e proiezioni di filmati e di interviste punteggiano l’assolo di un attore – di un “attuante”, come piacerebbe al metodo grotowskiano – che, come già per le precedenti produzioni, si mette in gioco in prima persona, con un approccio diretto e assolutamente non teatrale. Non è lì per ‘recitare’ l’autore-interprete, che costruisce la propria performance con pochissimi mezzi – scenografie caratterizzate da oggetti che sono quasi simboli (le campane delle greggi della scomparsa pastorizia pugliese). Ulderico Pesce dice, esplicita se stesso, il proprio percorso umano e artistico, attraverso la cruda esposizione della verità, di quella particolare verità che si ritrova nelle storie, nelle foto e nelle voci di chi ha visto ragazzi venuti da oltre oceano ammazzarsi di lavoro o venire ammazzati senza particolari riscontri o protezioni da parte delle autorità, spesso compiacenti o silenziose verso questi “invisibili”. È quasi irritante quell’uomo che resta solo in mezzo a un palcoscenico vuoto – fatta eccezione per i tre musicisti che danno voce con i loro strumenti musicali a una terra bella e amara – mentre dietro di lui a tratti si anima il proiettore dando suono e volto alle voci della nonna Incoronata, pluriottantenne e sempre pronta ad aprire la sua porta ai lavoratori, oppure a quella disillusa della giovane polacca Camilla, che un giorno ha visto ammazzare di botte il suo fidanzato,e che ora crescerà da sola la creatura che porta in grembo. In questo sta la scelta del pubblico: accettare o meno quella dicotomia che l’autore impone ai propri spettacoli, in cui il teatro, la finzione scenica viene sacrificata senza pietà a favore della realtà, del realismo potremmo quasi dire. Non si preoccupa più di tanto di quanto dice la gente o i critici, Ulderico Pesce; l’importante, come dice lui, è il dibattito, che si parli, che si continui a parlare alla fine dello spettacolo. Magari abbassando gli occhi o guardando dentro se stessi. Lo scopo sarebbe allora già raggiunto. Roma, 28 aprile 2009 Teatro dell’Orologio – sala Grande
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al Sala Mercato di Genova (GE)