La storia de La bisbetica domata è arcinota. Petruccio, avventuriero veronese, annusa la ricca dote di Caterina, figlia primogenita di Battista Minola, bisbetica doc al contrario della sorella Bianca,che è bella, gentile e piena di corteggiatori.
Dopo varie resistenze, Caterina cede al matrimonio d'interesse e inizia a essere soggiogata dal marito: viene sottoposta a umilianti privazioni fino a che, piano piano, i maltrattamenti l'ammansiscono e la domano. Petruccio deride spesso Caterina, anche con frasi volgari, ma è questo il suo scopo: fingersi ciò che non è, ossia anch'egli un bisbetico. Caterina stessa è un personaggio ambivalente e finge di essere una bisbetica per preservarsi; fa la villana sputasentenze durante il corteggiamento, risultando comica, mentre da sposata è talmente umiliata da fare quasi pena.
La messinscena del regista Matteo Marasco è molto rigorosa e aderente al testo originale, per cui la trama non è stravolta ma ha bensì una valenza ancora più moderna, nel rispetto della produzione shakesperiana, tutta di sempre straordinaria attualità. La commedia, peraltro, è una tra le più lineari del drammaturgo inglese, scritta nel 1594 per la compagnia dei Lord Pembroke's Men, nella quale egli stesso recitava agli inizi della carriera. Ai tempi, le compagnie teatrali erano composte solo da uomini e dunque i ruoli femminili erano interpretati dai maschi (ve lo ricordate il film Oscar "Shakespeare in Love"?). Stessa scelta da parte di Marasco e della Compagnia Lavia: tutti uomini, nemmeno la costumista è donna. Diamo merito, a ogni modo, ad Andrea Viotti, il costumista, il quale ha saputo realizzare un patchwork al contempo sgargiante ed elegante, vivace e compunto.
Il tono del play è giocoso e ilare, anche se non mancano spunti di riflessione e di pessimismo, soprattutto nella seconda parte, come nella miglior tradizione delle commedie del Bardo. Basilare è l'alternanza tra il registro comico e quello drammatico, in cui si vola da frecciatine, sottintesi, battute al veleno a silenzi disarmanti e scene fredde e cupe. Qui Marasco dimostra di avere perfettamente in mano le redini del play: orchestra il tutto con grande puntualità e con sagacia, non sprecando nulla nè in tempi, nè in contenuti.
Nel secondo atto, quando il pubblico è riportato sul binario della riflessione, si capisce quanto la storia di Caterina sia drammatica: subisce prima, da bisbetica, e subisce anche dopo, da domata, pagando l'amaro prezzo di un'educazione e di una società ingiusta. No ai matrimoni combinati, pare dire il maschilista Shakespeare, dove l'amore non conta e la donna che ti sposi, seppur remissiva, comunque non ti ama davvero. Frame dall'eccezionale impatto sono le luci, a opera di Pietro Sperduti: accompagnano gli attori in ogni angolo, in ogni risata, in ogni silenzio; accendono e spengono le emozioni di chi sta in sala, al buio, come se fosse parte del palco.
Protagonista è Tullio Solenghi, il quale dà vita a un Petruccio tradizionale, a sua volta bisbetico, in lotta con Caterina e con se stesso. Sembra che Solenghi dia a Petruccio dei tratti più da "sgamato", tra il cerebrale e il misterioso: merito anche di quella voce cupa e burbera che ha prestato con successo al leone cattivo Scar nel cartone "Il Re Leone". Bravo Solenghi.
Menzione d'onore a tutti gli altri personaggi, che meritano di essere citati ad uno ad uno: Francesco Bonomo, Roberto Alighieri, Giancarlo Condè, Luca Fagioli, Alessandro Guandalini, Alfredo Iacopini, Massimiliano Loizzi, Rodolfo Medina, Gianluca Musiu e Salvatore Rancatore. Tutti insieme, i Lord Lavia's Men, sono un essenziale contorno al successo di questo allestimento. Milano, Teatro Carcano, fino al 15 ottobre