Recanati, teatro Persiani, “La cerimonia del massaggio” di Anna Marchesini da Alan Bennet
IL TEATRO? PER ME UN’ESIGENZA VITALE
(SEI DOMANDE AD ANNA MARCHESINI)
UNO. Lei è interprete di molti monologhi di Bennet, come mai?
Bennet ha la straordinaria capacità di arrivare dritto al bersaglio attraverso un uso sapiente ed intelligente delle parole; i suoi romanzi, che poi sono racconti plurali, sono ottimamente riducibili per il teatro, arguti e sofisticati ma al tempo stesso facilmente comprensibili.
DUE. Con Alan Bennet si sorride con una vena di malinconia, come nella vita..
Non soltanto di malinconia, che è un sentimento di tutto rispetto, piuttosto direi quasi di tristezza intelligente, una sorta di stacco e di non concessione all’umorismo e alla comicità completamente ridanciana, sempre con un’amarezza che in questo caso riguarda la classe borghese. Scovare le pulci nei materassi della classe borghese è l’amabile vizio di Bennet, che mette nel suo racconto dei borghesi sempre un po’ “difettati” (parla di “folla eccelsa e avariata”, in relazione ai fedeli che partecipano alla commemorazione del defunto al centro de La cerimonia del massaggio).
TRE. I testi di Bennet sono indagini lucide e profonde nella società inglese; sono validi anche nella società italiana?
Io non ho aggiunto nulla, non ho modificato il testo (l’ho solo accorciato) e penso che la maggior parte delle cose che si dicono degli inglesi valgono anche per noi. Gli inglesi sono diversi per come reagiscono ad alcune situazioni, ma si tratta solo di comportamenti che poi si ereditano e si tramandano attraverso la cultura e la storia (dominazioni straniere e quant’altro). Ma per i vizi e le virtù delle varie classi sociali, in particolare della classe borghese che è quella in cui Bennet è nato, quella che ha più guardato, vizi e virtù sono molto paragonabili a quelli che possono essere i nostri comportamenti. Certo gli inglesi hanno modi e tempi di reazione diversi dai nostri, sono più “freddi”, però per quanto mi riguarda, pur rispettando un linguaggio e una modalità di stare in scena che è piuttosto composta, non si può cercare di scimmiottare quello che sono gli inglesi. Noi siamo molto più estroversi. Però in Bennet non c’è spazio per un grottesco forte, per una componente forte umoristica o estroversa.
QUATTRO. Lei appare poco in televisione e molto a teatro, una scelta precisa e coraggiosa..
Le mie turnè sono molto limitate nello spazio, perché giro poco nella provincia. Ma prevalgono la comodità psicologica e la felicità psicologica di portare in giro uno spettacolo rispetto oggi alla difficoltà che avrei a fare un grossa e massiccia televisione. La mia vocazione è sempre stata questa, fin da quando ho fatto l’accademia per recitare a teatro. La televisione è stata un po’ il “come mai”, ma tutte le cose che ho fatto, anche con il Trio, le ho fatte felicissimamente, perché abbiamo sempre recitato, non abbiamo mai fatto conduzioni o ospitate che fossero dei presenzialismi, non siamo mai stati seduti su un divano, piuttosto abbiamo sempre partecipato per andare a recitare, seppure brevi sketch. E questo è quello che vorrei fare in televisione. Ma oggi la televisione è diventata più un intrattenimento e dunque è un mestiere diverso che non implica il recitare o il fare dei personaggi e in questo senso non è che io mi ci trovo un gran che. No, proprio no.
CINQUE. Una ironia diversa quella che lei riesce a portare a teatro rispetto alla satira-spazzatura che imperversa in televisione.. quanto è difficile portare pubblico a teatro, strapparlo alla televisione?
Il pubblico risponde bene e tanto a teatro. La difficoltà è altro: dai tagli alla cultura alle politiche allo spettacolo che sono inesistenti. Noi siamo trascurati. Questo non vuole essere una lamentazione o un pianto, vorrei dare il senso di fare qualcosa che sia motivata e giustificata dal pubblico ma che è quasi ritenuta inutile. C’è una precisa connotazione in questo senso quando si fanno grossi tagli alla cultura. Per questo è giusto lo sciopero dei lavoratori della Scala. Io credo che l’arte soprattutto, ma anche chi come me spera di farla ma poi in realtà faccio solo un buon mestiere, penso che sia errato considerare tutto questo un bisogno secondario. Se non c’è l’intelligenza, l’amore, la passione, l’ingegno e anche il sogno per poter condurre la nostra esistenza verso il futuro, viviamo semplicemente di bisogni primari quali il cibo, ma poi ci sono dei falsi bisogni primari che danno una connotazione diversa alla nostra società, alla nostra civiltà, al nostro modo di essere.
SEI. Che cosa c’è nel suo futuro?
Mi avvio verso un piccolo repertorio, che poi sarebbe quello che mi piacerebbe tanto, costruire come gli attori di una volta un repertorio tutto mio. Cerco il prossimo testo, leggo tanti libri, ho ultimato l’adattamento teatrale di “Nudi e crudi” sempre di Bennet, ma non so come andare avanti, perché superare Bennet e Landolfi è una cosa difficilissima. Landolfi non ha fatto rimpiangere Bennet perché è un gran testo, soprattutto dal punto di vista linguistico: per me è stato molto affascinante perché ha un andamento quasi poetico e sono stata davvero felice di poterlo restituire, portandolo a teatro senza cambiare niente, con una vocazione alla comicità del tutto inaspettata per Landolfi che invece è molto nero e, anche se è ironico, di certo non scrive per la comicità. Andare oltre Landolfi e Bennet è una bella sfida per me.
Visto a Recanati, teatro Persiani, il 29 ottobre 2005
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
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Storchi
di Modena
(MO)