A restituire la complessità di uno dei maggiori capolavori letterari del secolo scorso si era cimentato Tullio Kezich, indimenticato intellettuale triestino che nel 1964 aveva curato l'adattamento del testo sveviano trasformandolo in una commedia divertente ed acuta. Profondo conoscitore di cinema e teatro aveva firmato con Daniele D'Anza lo sceneggiato televisivo “La coscienza di Zeno” costituito da un cast di attori di formazione teatrale, con in testa Alberto Lionello affiancato - fra gli altri – da Pina Cei e Paola Mannoni.
A teatro seguì nel 1987 l'avvincente interpretazione di Giulio Bosetti diretto da Egisto Marcucci e, nel 2002, il raffinato lavoro di Pietro Maccarinelli con Massimo Dapporto nei panni di Zeno.
Il Carcano ha affidato l'impresa di far rivivere il capolavoro sveviano a Maurizio Scaparro che affronta la storica riduzione con eccessiva fiducia nell'impatto figurativo e ampio semplicismo nella resa della complessa psicologia del protagonista e di chi gli ruota intorno. Una commedia colma di personaggi fortemente caratterizzati e macchiette dove a risultare premiata è la soluzione facile, la comprensibilità a discapito dell'introspezione e di quell'analisi psicologica di fatto basilare per rendere la complessità dell'opera. Si rivela così lo Zeno di Giuseppe Pambieri, bravo ovviamente nell'enunciare, ma privo di varianti e ripulito di meschinità e vigliaccheria a favore di una cristallizzata inettitudine dai risvolti bonariamente ironici. Ardua è la resa dei molti interpreti che lo affiancano, infruttuosi nel riversare ciascuno un proprio stile in questa verbosa macchina narrativa scandita dal movimento degli enormi pannelli della scenografia: da un'esagitata Margherita Mannino (Alberta) all'umorale Silvia Altrui (Anna), alla rigorosa Marta Ossoli (Carla), a Francesco Wolf (Guido), Giancarlo Condè (il dott.Coprosich/Enrico Copler), Anna Paola Vellaccio (la signora Malfenti), ai poco più convincenti Nino Bignamini (il dott. S. Giovanni Malfenti), Antonia Ranzella (Augusta) e Guenda Goria (Ada).
Si trascinano così, tra equivoci, caricature e (finte) suonate di piano, due ore di teatro recitato e mai veramente vissuto che dipinge un affresco in bilico tra l'acerbo e lo stinto di Zeno Cosini e del suo mondo.