Prosa
LA COSCIENZA DI ZENO

Un bellissimo allestimento

Un bellissimo allestimento

Su Italo Svevo e sul suo capolavoro si è già detto tutto. In un’epoca contraddistinta da grandi rivoluzioni in tutti i campi, con la scoperta dell’inconscio e la tecnica della psicoanalisi ad opera di un certo Sigmund Freud, l’uomo non viene più concepito come un blocco tutto di un pezzo, che può controllare razionalmente tutta la sua vita con i suoi comportamenti. L’attribuzione di un nome e di una causa-origine precisa a malattie psichiche e nervose prima di allora non prese in considerazione, sposta il baricentro dell’attenzione sul singolo, sui suoi problemi quotidiani, sulle sue nevrosi, sulla sua psicologia. Se nei grandi romanzi dell’Ottocento apparivano eroi ed eroine con una missione da compiere, con grandi ideali da inseguire, con passioni amorose travolgenti da vivere, ora i protagonisti sono uomini e donne come Zeno … Il romanzo ha come protagonista il triestino Zeno Cosini, appunto, un antieroe per eccellenza, un personaggio apparentemente incolore, scialbo, senza virtù né difetti particolari, l’emblema della mediocrità e dell’inettitudine alla vita. Zeno è un inetto ( è questo l’appellativo che meglio lo qualifica) ma ciononostante, o forse proprio in virtù di ciò, la sua storia riscuote un grandissimo successo fra i lettori europei.
Le vicende del romanzo si imperniano attorno a cinque principali tematiche ed episodi, raccontati da Zeno come memoriale ordinatogli dallo psicanalista presso il quale è in cura.  Il fumo, vizio dal quale egli vuole guarire e che rappresenta la debolezza della sua volontà, la morte del padre e il suo difficile rapporto con lui, la rocambolesca storia del suo matrimonio, il tradimento con Carla e la sua indecisione fra l’amore per lei e per la moglie, il fallimento della sua impresa commerciale e il finto suicidio del cognato Guido.
Alla fine Zeno abbandona la cura e proclama la propria guarigione. Egli diventa consapevole che la vita stessa è malattia, in quanto inquinata alle radici, e perciò conclude che l’unico mezzo per rimanere sani è l’autoconvincimento di esserlo, e tanto vale perseverare nei propri vizi e nella propria inettitudine. La vita in fondo non è nè buona nè cattiva, è semplicemente originale. Ecco la chiave della sua ritrovata salute che fa apparire malato, quasi paradossalmente, il suo medico.

La riduzione teatrale di Tullio Kezich del 1968 è sempre efficace nel condensare in poco più di due ore le vicende narrate e l’allestimento di Maurizio Scaparro è nel complesso molto suggestivo e raffinato. In tempi di recessione come questi, merita un plauso la decisione del Teatro Carcano di Milano di investire su questo spettacolo. Degni di nota, in particolare, le scenografie e i costumi; gli abiti e le fogge di Carla Ricotti ci catapultano nella Trieste di inizio ‘900 e nei suoi ambienti alto borghesi ed un sipario stilizzato ad opera di Lorenzo Cutùli sale e scende per permettere il cambio degli ambienti di scena mentre Zeno racconta la sua vicenda in brevi ed efficacissimi monologhi.
A questo punto, una lode speciale va a Giuseppe Pambieri, degnissimo erede di un ruolo che fu di Alberto Lionello nel 1968, di Giulio Bosetti nel 1987, e infine di Massimo Dapporto più recentemente. Pambieri è perfetto nel tratteggiare il disincanto di Zeno, il distacco dagli eventi che egli mostra conducendo la sua esistenza all'insegna della leggerezza e di una sottile e pervasiva ironia. Il monologo finale viene recitato apparentemente sottotono. con un piglio quasi beffardo, quasi a prefigurare scenari apocalittici ad opera di ignoti ma molto potenti artefici, proprio come l'inconscio.

Visto il 06-03-2013
al Comunale di Thiene (VI)