Considerato il buon esito della Ariadne a Naxos del 2022, il Teatro Comunale di Bologna inaugura la stagione 2025 ripuntando sul talento di Paul Curran, e mette nelle sue mani La fanciulla del West di Puccini. Stavolta, però, sul palcoscenico un po' fuori misura del Comunale Noveau.
Alla ricerca del progetto
Se nel lavoro di Strauss spuntavano molte idee, con vorticosi movimenti abilmente coordinati, qui invece, specie nell'affollatissimo salone della “Polka”, si ha l'impressione di personaggi messi e mossi come va va, alla faccia dei meticolosi appunti scenici pucciniani. E senza veri spunti originali, l'opera procede con le sue sole forze. Senza sbandate sì, ma priva d'un avvertibile progetto registico.
Quanto alle scenografie dell'altro scozzese, il fido Gary McCann, evocano un West ben riconoscibile, con un folklore sublimato dove l'abbondanza di assi di legno - dopo un saloon da cartolina - sfocia nel finale in una felice astrazione visiva, senza tuttavia omettere tutta l'attrezzeria necessaria. Casuccia e lettuccio di Minnie compresi. Di contro, la sua inventiva si è sfogata in abbigliamenti che più western di così non potrebbero essere. Le luci sono di Daniele Naldi.
Versi modesti, musica 'cinematografica'
Se il libretto di Civinini e Zangarini è zeppo di sdilinquimenti, lacrimucce e nostalgie, e la vicenda in sé alquanto improbabile – la figura di Minnie, un discreto concentrato di assurdità – Puccini compositore procede di cesello, e porta a livelli di estrema raffinatezza una partitura originalissima, cangiante e ribollente di musica, oltre che di estrema complessità e modernità. Al punto che Dimitri Mitropoulos – che ci lasciò una memorabile registrazione fiorentina del 1954 - vagheggiava di eseguirla tutta senza voci.
Partitura rivisitata per noi dalla giudiziosa bacchetta di Riccardo Frizza, che dall'efficente orchestra del Comunale trae il meglio: vale a dire precisione, tante belle sfumature, suoni nitidi e sgargianti, combinazioni timbriche straordinarie. Ritroviamo per di più nella sua concertazione, in un giusto equilibrio fra momenti drammatici ed espansioni liriche, un fluire musicale teatralissimo, che tiene unita la costellazione degli innumerevoli, piccoli e preziosi episodi che la punteggiano. C'è chi ha parlato d'un presagio di musica da film, e non a torto. La vorticosa introduzione orchestrale potrebbe accompagnare i titoli di testa di un western di John Ford.
Manca però una vera protagonista
Alternandosi con Carmen Giannattasio, Ann Petersen pone molto impegno nello svolgere il suo personaggio, ma non basta. Posto che iI ruolo di Minnie è quanto mai arduo, il soprano danese rivela non pochi limiti: registro grave di poca consistenza, appesantito quello centrale, in alto suoni di una certa fissità; e poi fraseggio scarso, scarsa morbidezza.
Ne risulta in scena una una bellicosa virago wagneriana, più che un'eroina pucciniana alle prese di un'imprevista infatuazione. Assai impegnativa, tutta dispiegata com'è su un canto dalle repentine e continue impennate, e dal persistente declamato, è pure la figura di Dick/Ramerrez che tocca, dopo Angelo Villari, ad Amadi Lagha.
Il personaggio è centrato, i suoni centrali luminosi e solidi, gli acuti svettanti, e con il tenore franco-tunisino «Ch'ella mi creda» imbocca la giusta, commossa espansività lirica. Peccato solo non s'avvertano certe mezze voci, certi ripiegamenti che Puccini scrive e pretende. Con consono physique du rôle, Gustavo Castillo, voce baritonale di ammirevole colore e di cospicuo spessore, disegna un Jack Rance molto incisivo: introverso, dal carattere tormentato, tuttavia mai plateale o peggio ancora brutale.
Nella folla dei comprimari, si distiguono per buon canto e efficace recitazione il Sonora di Francesco Salvadori, il Nick di Paolo Antognetti, il Trin di Cristiano Olivieri, il Wallace di Francesco Leone, l'Ashby di Nicolò Donini, il Sid di Dario Giorgelè. Irreprensibili gli interventi del Coro felsineo curato da Gea Garatti Ansini.