Apiro (MC), teatro Giovanni Mestica, “La maglia nera. Gesta e ingegno di Luigi Malabrocca” di Matteo Caccia
UN VIAGGIO NELLA MEMORIA
Il racconto di Matteo Caccia narra le gesta e l'ingegno (posso dire l'epopea, perchè di vero epos si tratta) di Luigi Malabrocca (“un nome che suona come una maledizione”), ciclista famoso e perdente, anzi famoso proprio in quanto perdente. La celebrità di questo umile padre di famiglia piemontese giunse ad oscurare quella dei campionissimi Fausto Coppi e Gino Bartali e fu costruita ad arte, non per caso (“corre e pensa, pensa e corre”). Durante il Giro d'Italia del 1946 Malabrocca comprese furbescamente (italicamente) che, non avendo la stoffa per arrivare primo, poteva far parlare di sé (e fare soldi) giungendo ultimo: all'anonimato di mezza classifica sostituisce la celebrità dell'ultimo. Il prodotto da vendere è la sconfitta, perfetto per gli italiani di quel momento, di quel sentire. Si applicò con metodo alla sua teoria, tagliando sempre il traguardo in coda al gruppo ma mai fuori tempo massimo per evitare squalifiche. Così fu cucita su di lui la “maglia nera” che dà il titolo allo spettacolo, contendendo alla “maglia rosa” l'attenzione degli sportivi e dei giornalisti. Giunse a guadagnare in un Giro la somma astronomica per l'epoca di 280.000 lire, pari allo stipendio annuo di un impiegato, pari alla somma dei premi dei classificati ai posti terzo, quarto e sesto.
Il suo successo si spiega con la figura del simpatico perdente nell'Italia uscita a pezzi dalla guerra, l'italiano astuto che se la cava con ingegno. Infatti in quell'Italia il ciclismo è lo sport più popolare perchè la “fatica” fisica del ciclista è vicina a quella della gente comune, e tutti, in quegli anni, si muovono in bicicletta. Uno sport non per eletti ma per coraggiosi, democratico, che parla un linguaggio semplice, quello della fatica, quello del sudore. Ma quando appare Sante Carollo che gli insidia il “primato” di ultimo, Malabrocca si ritira, per poi iniziare a vincere, stavolta arrivando davvero primo, nelle corse ciclocampestri.
Matteo Caccia ha scritto e racconta con passione la storia ciclistica ed umana di Malabrocca, ponendosi nel solco fecondo del teatro di narrazione. All'inizio pezzi di bicicletta pendono nel buio, come brandelli di memoria: ruota, manubrio, pedali, catena, sellino. Poi Caccia via via li combina fino a comporre una bicicletta, con la sua luce, con il suo suono. Componendo anche un racconto orale fervido che cattura l'attenzione, il racconto di un'Italia che non c'è più, la traccia di una memoria da non disperdere.
Con questo evento è iniziato nel piccolo ma prezioso teatro di Apiro il “GIRO D'ITALIA – Viaggio nella memoria di un Paese che non c'è”, una rassegna intelligente e coraggiosa curata da Sonia Antinori, che scrive: “La nostra generazione è nata senza padri. In un paese di bellezza ineffabile, ma sfigurato da troppe ombre. Chi è cresciuto all'indomani delle utopie e degli entusiasmi per giustizia e uguaglianza si è trovato a confronto con un vuoto impossibile da colmare. E dopo un lungo momento di sconcerto è stato costretto a dissodare il passato alla ricerca della perduta identità. Questo l'impulso che ha creato la nuova onda di un teatro teso a raccontare il presente attraverso l'indagine incessante del passato prossimo. Questo lo sguardo che si propone per un ideale viaggio nell'Italia degli ultimi cinquant'anni: un paese attraversato da contraddizioni, ingenuità e ipocrisie, sfuggente e sconosciuto come noi che lo abitiamo”.
Un viaggio nel nostro passato prossimo, aggiungo io, che diventa epopea collettiva, ammantata di quell'epos che rende la storia da particolare a universale. Il “viaggio” (all'interno di “Futura memoria”, percorso dedicato al teatro e alla danza nell'ambito del progetto “Palcoscenico Marche”) prosegue prima ad Apiro con “Lampedusa è uno spiffero” e “Le nozze di Antigone”; poi a Loro Piceno e Monte San Giusto con “Attraversando la terra di mezzanotte”, a Mogliano con “Natura morta in un fosso”, a San Severino con “La gabbia”, ad Ostra con “Appunti dall'età dell'innocenza” e la seconda fase di “Terra di mezzanotte”, memoria delle feste da ballo che una volta si tenevano nei teatri. Da non perdere.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto ad Apiro (MC), teatro Giovanni Mestica, il 24 novembre 2007
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