E' ancora un perfetto ordigno “la Mandragola”, il testo capolavoro scritto oltre cinquecento anni fa da Niccolò Machiavelli e capace di esplodere gonfio di attualità anche sui palchi di oggi. La piéce, che prende il titolo da una pianta con magici poteri fertilizzanti, inscena la vita dell’uomo simulatore e dissimulatore insieme, il cui compito è quello di essere maschera falsa e ingannevole. Ritroviamo allora la figura del prete cinico, quella della madre ruffiana che spinge consapevolmente la figliola verso l’inganno, il marito sciocco raggirato e infine l'attraente Lucrezia che, diventando amante di chi ha ingannato suo marito, incarna la persona di tutti quelli che si adattano per convenienza alle situazioni.
Sullo sfondo della bella scena ideata da Cris Spadavecchia e tratteggiata a china come a trovarsi nella Firenze di taluni canovacci rinascimentali si stagliano i personaggi. Questi, agghindati in abiti contemporanei neri come l'inchiostro, contrastano con l'esile donna Lucrezia in panneggi color sangue: ovvia allusione dell'Italia dipinta con lo stesso tono su un pannello di sfondo. Come tutto è lecito per la conquista della donna desiderata, così ogni turpitudine è concessa per scalare le vette del potere nazionale. Così era ieri, così è oggi. A rimarcare il concetto – ce ne fosse pedagogicamente il bisogno - compaiono qua e là, oggetti isolati di chiara modernità (tra gli altri uno sportello con circuito bancomat) con scopi che paiono più illustrativi che drammaturgici. Ad ogni modo la commedia di questa “storia di corna” procede spedita, piacevolmente divertente e lineare. Gli attori, tutti gli attori, hanno il gran merito di rendere scorrevole ed amabile alle orecchie dal pubblico contemporaneo la bellissima lingua machiavellica. Ci riescono anche grazie ad un pensoso studio di lungo corso (la pièce appartiene al repertorio di Progetto U.R.T. dal 2000) e ad un ritmo rapido, mai banale, dal prologo alla chiusa. Un alfabeto ricco di armonie e musicalità, mai lezioso ma anzi capace di rendere agile persino il suo esser pieno zeppo di latinismi e francesismi.