LA PALESTRA DELLA FELICITà

Serve solo, tanto esercizio

Serve solo, tanto esercizio

C’è chi dice che nella vita raggiungere la felicità sia impossibile e che la vera condizione a cui ambire sia la serenità. Una tesi non così sbagliata: puntare alla luna per arrivare alle stelle, potrebbe sembrare solo un accontentarsi ma chi l’ha detto? Ragionevolezza e senso della misura dovrebbero guidare le nostre azioni, tuttavia è possibile invocare tanta lucidità quando si ha a che fare con sentimenti e ‘ambizioni emotive’? Come però ci viene detto spesso nei primi anni di età, studiando si può arrivare all’obiettivo, qualunque esso sia. E allora… esercitandosi costantemente, come si fa quotidianamente con la palestra per il corpo, non si potrebbe arrivare all’agognata felicità? Provarci almeno?


Elena Russo Arman e Cristian Giammarini tentano. Per l’esattezza, con tutti i cambi di parrucca e d’abito che si vedono in scena, mettono in mostra in primis le difficoltà che gli individui riscontrano nella vita quotidiana, per raggiungere quello stato di grazia, spesso mancandolo. I rapporti di coppia, non solo sentimentali ma anche tra genitori e figli, sono non di rado segnati da violenze, incomprensioni, desideri di primeggiare e farsi valere prepotentemente, senza tener conto dei bisogni e dell’animo altrui, che spesso ne esce ferito o martoriato. In un susseguirsi di rapidi cambi di ambientazioni e contesti sociali, con battute che più che ironiche sono talvolta sarcastiche al limite della causticità o del paradosso, i due illustrano molte delle possibili fattispecie che si delineano nei rapporti tra esseri umani: l’attenzione quasi maniacale per i pesci rossi da curare come se fossero figli, il lamentarsi su questioni di poco conto in modo volutamente petulante per averla vinta finendo con l’esasperare l’altro, l’arroganza e l’ottusità di certe prese di posizione, dettate anche dalla convinzione di essere sempre e comunque meglio degli altri. E poi mettere fine ad ogni lite o polemica con la morte: che non è solo un toglierla all’altro in modo letterale ma anche, e soprattutto in senso metaforico, la tendenza a soffocare l’altro, magari più debole o arrendevole, perché non lo si accetta (più).

Arman e Giammarini partono dalla preistoria, vestendo i panni dei nostri antenati poco sapiens, per poi vivere un’evoluzione - mai veramente compiuta, verrebbe da dire - e chiudere con gli stessi costumi, quelli delle scimmie primordiali che guardano stupite il dito, mancando la luna, appunto. I due insieme funzionano, ben assortiti e complici, strappano più di una risata e intrattengono ma, passando da una coppia all’altra, sembrano perdersi gli anelli di congiunzione che tengono insieme la catena. E così, come le scimmie di cui prima, si corre il rischio di fermarsi a guardare solo in superficie senza cogliere la profondità delle cose, domandandosi infine a cosa possa servire, nella finzione come nella realtà, tutta questa inesauribile volontà di demolire anziché costruire.
 

 

Visto il 12-04-2016
al Filodrammatici di Milano (MI)