Il testo di Neil Simon, come molti sanno, è una delle commedie americane più riuscite e più rappresentate nell’immaginario teatrale: confrontarsi e far divertire attraverso il perfetto meccanismo teatrale che porta due amici irremediabilmente opposti a dover condividere uno spazio unico, e con esso passioni, contrasti, manie e delusioni, è una delle sfide più richieste alle compagnie che vi si cimentano. L’anno scorso Mariangela D’Abbraccio ed Elisabetta Pozzi hanno proposto un’eloquente e riuscita versione al femminile, che ha mutato la storia di Felix e Oliver in quella di Olivia e Fiorenza, ancora più immediate e vere nelle tipiche intelligenze ed ossessioni femminili.
Al teatro San Genesio Sandro Felice Leo, regista e capocomico della compagnia "La Tana dell’arte", ripropone la falsariga di questa versione e dà vita a una nuova edizione della pièce simoniana. In un tempo di rappresentazione di due ore – non corrispondente peraltro al rapido ritmo della scena - scorrono le avventure martellanti ed irresisistibili delle due amiche, di cui la prima, disordinata ma contenta della propria vita, si trova a dover dare (forzata) ospitalità all’altra, maniaca dell’ordine e alle prese con non pochi problemi personali e coniugali. Nel rispetto pieno dell’ambientazione borghese di certi loft newyorkesi non mancano lo stuolo di amiche frizzanti, intelligenti e impietose che commentano, assistono e consigliano le due, che tenteranno anche, con risultati disastrosi, di dare una spolverata alla loro vita sociale in un’improbabilissima cena con due vicini di casa, spagnoli e smarriti di fronte a un caos senza soluzione ma tutto sommato non così spaventoso, come lasciato intravedere dal finale aperto.
Abbiamo tenuto a proporre la trama in quanto specchio di un certo tipo di comicità anglosassone, fondamentalmente diversa da quella mediterranea. Là dove in quest’ ultima prevale il senso della battuta, la parola, l’immediatezza della reazione e il tempo comico, nella drammaturgia dell’autore americano è lo sguardo d’insieme, lo schema di gruppo e il temperamento del personaggio che costituiscono la forza del testo suggerendo una risata più composta, ma anche più profonda, somma insieme di divertimento e riflessione.
Nello spettacolo di ieri sera si sono aggiunte note nuove che hanno reso estremamente godibile e convincente l’operazione del regista, ovvero lo sforzo di uscire dagli schemi. Infatti la sua compagnia, che nasce e prospera nel repertorio popolare e classico della tradizione partenopea e romanesca, è stata chiamata qui a compiere un salto di qualità ed insieme un difficile esperimento perché in contrasto con le normali dinamiche comiche che abbiamo già potuto osservare in precedenti spettacoli. Le sei attrici e i due attori coinvolti nel testo hanno accettato con umiltà e tenacia di piegarsi a un’intelligenza del testo non immediatamente comprensibile ed estranea (all’apparenza) alle loro corde comiche.
I risultati non si sono fatti attendere, sorprendenti soprattutto in alcuni dettagli e sfumature, a volte mancanti nelle stesse compagnie professionistiche: oltre alle interpretazioni prorompenti e ineccepibili di Valentina Genovesi (Olivia) e Valeria Forlini (Fiorenza) le due protagoniste che si rubano costantemente la scena in un concertato brillante di battuta e risposta, azione e reazione con tempi scenici perfetti, si segnalano, in massa ed individualmente, il gruppo delle amiche, i cui modi di ascolto, risposta e partecipazione collettiva all’azione, come pure le delizioze controscene, danno dei punti, dicevamo, a parecchi attori professionisti, spesso troppo impegnati ad ascoltarsi più che ad ascoltare. Mickey (Piera Setari), Silvie (Sonia Emiliani), Renata (Patrizia Pipitone) e Vera (Daniela Rosci): in ognuna di esse c’è una grande naturalezza, che non viene meno neanche in alcune scivolate di dizione e di tecnica, compensate dalla piena gestione del personaggio e dalla sua generosa restituzione al pubblico. In questo complesso e affascinante universo femminile una ben dura prova spetta agli unici due personaggi maschili, di impatto minore, Manolo (Claudio Emiliani) e Jesus (Michele Camillò), che entrano in scena allo zenith della potenza comica, con il gravoso impegno di doverla mantenerla: recitano bene, con onestà e precisione Emiliani e Camillò, in ruoli che purtroppo non concedono loro troppo spazio e versatilità.
E’ qui come in alcuni momenti di sfilacciatura dell’azione, dovuta a qualche eccesso interpretativo e a uno o due tempi morti di troppo, che si possono proporre i pochi miglioramenti possibili in un prodotto già ad alto livello.