Prosa
LA VEDOVA SOCRATE

Un monologo perfetto

Un monologo perfetto

Il mese monografico, tributo e omaggio del teatro Valle alla grande attrice e autrice Franca Valeri prosegue con il monologo, liberamente tratto da Friedrich Dürrenmatt, La vedova Socrate scritto da Valeri nel 2003 e andato in scena per la prima volta l'8 maggio di quell'anno al Piccolo Eliseo di Roma.
Un monologo perfetto nel quale Santippe, riaperta la bottega di antiquariato che dirige, subito dopo la morte di suo marito Socrate, commenta la vita e le azioni del marito defunto e dei suoi colleghi filosofi.
Un testo nel quale l'autrice è in continuo stato di grazia.
Per inventiva: Socrate non è morto bevendo la cicuta ad Atene, ma a Siracusa. Per la prima cicuta è stato cercato un sostituto. Si è offerto Aristofane, nonostante gli attacchi ripetuti a Socrate nelle sue commedie.
Per conoscenza storico-filosofica: Santippe se la prende con Platone che rubava le idee a Socrate e gli metteva in bocca cose non sue, criticandolo per i dialoghi troppo lunghi e difficili da seguire.
Per arguzia: Santippe fa commenti salaci ma sempre eleganti sui  ragazzi  di cui Socrate si circondava (Alcibiade che le chiese di dissuadere il marito di uscire con Agatone; il piedino fatto a Socrate, a teatro, in sua presenza...).
Un monologo nel quale Tippe, come la chiamava Socrate, parla dell'antica Grecia e, tramite lei, Franca Valeri parla del mondo contemporaneo dimostrando di avere una consapevolezza dell'uomo (proprio l'essere umano di sesso maschile) degna di un filosofo: ...un  uomo è quello che pensa da uomo e una donna quella che pensa da donna e che il sesso non c'entri è provato dal fatto che  (...) io penso da uomo, ma rimango una donna e non ci tengo ad essere un uomo, mentre gli uomini che pensano da donne hanno solo un pensiero, diventare delle donne per godere forse senza problemi del dono che gli dei hanno fatto alla donna: piacere agli uomini
(da Tragedie da ridere La tartaruga Edizioni Milano 2003 p.348).
Una lucidità di visione pari all'arguzia delle battute, all'italiano perfetto con cui insinua il dubbio di una popolana, come Valeri descrive Santippe,  che non crede all'efficacia della filosofia e pansa alle dracme che tira su vendendo la maschera del marito.
Mi affascinava vedere come Santippe fosse passata indenne fra filosofi, etère, generali e fanciulli, in quotidiano colloquio con un marito di cui ancora oggi ci stupiscono le conclusioni morali. Certo Santippe ha preferito se stessa al mondo irreale del pensiero. Una onestà che l'ha fatta disprezzare dagli storici, ma che ne fa una gustosa eroina di teatro.
Come darle torto?

 

Visto il 25-01-2011
al Valle Occupato di Roma (RM)