Al Teatro Civico di Tortona (Alessandria) ha avuto luogo il debutto stagionale de L'insostenibile leggerezza ... tratto dal romanzo di Milan Kundera L'insostenibile leggerezza dell'essere. Adattamento e regia sono a firma Marina Thovez, pure interprete assieme a Mario Zucca col quale forma da tempo una inossidabile coppia sul palco come nella vita. Una produzione - Ludus in Fabula - indipendente, in altre parole che pur non beneficiando di sovvenzioni riesce a raggiungere risultati di tutto rispetto. Il libero adattamento si è ben presto discostato dal romanzo per assumere una specifica valenza drammaturgica volta a valorizzare i canoni teatrali, l'esigenza di contatto subitaneo con il pubblico. Stralci dell'autore si sono intersecati a dialoghi originali. Flash narrativi, che il ritmo esordito quasi in sordina ha posto in progressione freneticamente incalzante fino al raggiungimento di un inscindibile ex novo, come scatti di una pellicola: primo dei tanti rimandi registici al personaggio femminile, una fotografa. La scenografia semovente (di Nicola Rubertelli) era improntata ad esauriente linearità e gli elementi necessari all'azione sono stati estratti da un cubo-cassapanca, traduzione attuale del classico baule da cui gli attori della Commedia dell'Arte traevano costumi e maschere. I molti spunti di riflessione, spesso necessitanti di una attenta partecipazione, sono stati sapientemente stemperati con suggerimenti visivamente espliciti oppure demandati alla pura e semplice gag, tragicomica, riecheggiante Beckett sia pure più nelle intenzioni che nella realizzazione pratica maggiormente propensa alla boutade (cabarettistici, nel significato più nobile che assume l'arte umoristica, i primi trascorsi di Mario Zucca); escamotages che hanno fatto capolino per sfruttare l'immediatezza di tale linguaggio comunicativo. Sui manifesti campeggiava un labirinto sormontato dalla Torre di Babele. Thovez infatti, contestualmente alla riproposizione dei dedali kunderiani, in primis quello simboleggiante la censura (introdotta in Boemia a seguito dell'invasione dell'Unione Sovietica e degli alleati del Patto di Varsavia durante la cosiddetta Primavera di Praga nel 1968) ha suggerito un percorso di elevazione verso l'unica via d'uscita possibile: la comprensione degli eventi e dei sentimenti che si sono indelebilmente sovrapposti nel tormentato periodo storico che ha fatto da sfondo alla storia d'amore tra Tereza e Tomáš. Peccato, forse, che la citazione al babelico labirinto non abbia trovato rimando in scena, a delimitare la quale era un altrettanto esaustivo muro, inizialmente rassicurante parete domestica divenuta oppressiva per poi aprirsi su uno spiraglio di libertà. Al di qua del tramezzo un mondo grigio, monocromo; al di là la vita, sfavillante di colori. Da una parte Dubček, Jan Palach, il rombo degli aerei; dall'altra la neutrale Svizzera dal cielo terso tra l'intrecciarsi dei rami di betulla. Al silenzio imposto dalla censura, Thovez ha dato voce inzittibile affidata alla note di Dvořák, Smetana, Janáček e ancora canti desunti dalla tradizione popolare boema, in parallelismo con l'eloquenza delle fotografie documentaristiche della protagonista; giudicate però prive di interesse proprio nella presunta terra promessa, che ha a sua volta assoggettato ad una differente, spiazzante, forma di censura dettata da leggi mediatiche. Per meglio mettere in risalto i risvolti filosofici del romanzo (ricorrente la similitudine con la cecità di Edipo) la regista-drammaturga ha sovrapposto alcuni inserti scherzosamente didascalici, in forma di lezione scolastica con tanto di esempi alla lavagna. Una sorta di moderno dialogo di Platone recante interrogativi inerenti la "casualità" e la "necessità", rivolto direttamente ai presenti, cercando il loro coinvolgimento e stimolando quella medesima comprensione stigmatizzata come unica foriera della libertà di pensiero: "L'esercizio del pensiero è il più grande strumento di libertà che abbiamo" ha dichiarato Thovez.
Mario Zucca ha vestito i panni del medico chirurgo Tomáš, professionista sicuro di sé fino a tradire senza troppi rimorsi l'adorata compagna, in realtà vittima di una incontrollata paura dell'amore stesso, per poi, vinto e battuto dalle circostanze, tramutarsi in un uomo che si sente, senza esserlo, un perdente. Marina Thovez ha ritagliato per sé un personaggio di ancora maggiore complessità: la cameriera-fotografa Tereza dai multisfaccettati sbalzi caratteriali espressi con la foga di un fiume verbale in piena; passata dall'autostima conseguente all'affermazione lavorativa, ai sentimenti cagionati dai mutamenti politici che l'hanno portata ad attraversare stati d'animo quali la cieca fiducia, l'incredulità, la sottomissione, infine il moto di ribellione che la porterà alla riconquista del perduto io, sia pure a costo di pesanti conseguenze.
Teatro prossimo all'esaurito ed incontro conclusivo con gli interpreti, nel corso di un buffet nel ridotto.
Prosa
L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA...
Pensare equivale ad essere liberi
Visto il
24-10-2012
al
Civico
di Tortona
(AL)