Lirica
L'ITALIANA IN ALGERI

Il Carnevale di Venezia porta alla Fenice “L'italiana in Algeri”di Rossini

L'italiana in Algeri
L'italiana in Algeri © Michele Crosera

Il Carnevale di Venezia 2019 porta sulle scene del Teatro La Fenice L'italiana in Algeri, opera rossiniana che in questa città vide la luce, poco più di due secoli fa.

L'onda del Carnevale di Venezia 2019 porta sulle scene del Teatro La Fenice – oltre a due titoli mozartiani giovanili - anche L'italiana in Algeri, opera rossiniana che proprio in questa città vide la luce, poco più di due secoli fa.

E' presentata in un nuovo allestimento, per così dire “fatto in casa” dalle forze interne del massimo teatro veneziano, replicando così il prodigio della deliziosa Sonnambula di qualche anno fa. Ritroviamo infatti come regista Bepi Morassi, direttore di produzione della Fenice, mentre la progettazione delle scene stocca a Massimo Cecchetto, direttore degli allestimenti scenici, ed il disegno dei costumi a Carlos Tieppo, responsabile dell'atelier di sartoria.


Siamo ai tempi del cinema d'antan

L'assunto di base è di portarci direttamente sul mare d'Algeri, negli Anni '20-'30 del Novecento: s'apre il sipario e ci troviamo di fronte l'imponente fiancata del vistoso panfilo di Mustafà, di cui Lindoro - vestito da palombaro - sta ispezionando la chiglia. Ne scopriamo poi il lussuoso salone centrale, con intorno le sue lussuose cabine. Taddeo e Isabella son abbigliati da esploratori, sahariana e casco coloniale; Mustafà – che giunge sul molo in limousine - cambia continuamente d'abito: un po' all'araba, un po' all'europea, forse per far colpo sulla sua ospite.

Camerieri, marinai e corsari ovviamente si sprecano: li comanda tutti un Haly vestito da nostromo. La garbata regia di Morassi qui recupera l'Hollywood d'un tempo, là si ispira a certe atmosfere felliniane, procedendo con leggiadra bonarietà e sottile ironia. Inietta gustosi tratti di esotismo, ma senza strafare; cerca la risata dello spettatore, con piccoli tocchi, senza mai andare sopra le righe; ed asseconda la vorticosa comicità rossiniana senza mai caricare la scena. Tutto risolto con accortezza e mano leggera.


La musica non delude

Fa da perfetta contro sponda la bacchetta di Giancarlo Andretta, che rientra nei circuiti italici dopo lunga assenza all'estero. Buon per noi, che ne abbiamo molta stima. Vedi questa Italiana, per la quale è difficile pensare conduzione meglio organizzata e lontana da ogni calligrafismo: spumeggiante, flessibile, scintillante, con l'Orchestra ed il Coro della Fenice che lo assecondano con fine souplesse. Non scorgiamo molti rivali, in questo genere di repertorio. Nella nostra recita, Simone Alberghini – primo cast - ha sostituito l'indisposto Andrea Patucelli con il suo Mustafà musicalmente imponente, stilisticamente coerente, caratterialmente ben centrato: vanesio, fatuo e borioso. Un bambinone viziato e mal cresciuto: proprio quello che ci vuole.

La Isabella di Laura Polverelli appare vocalmente irreprensibile – la voce ha i giusti toni, la tessitura le è confacente, le fiorettature son risolte con garbata finezza – però ciò che le sfugge è la piccante verve, il brio malandrino dello scaltro e volitivo personaggio. Francisco Brito è un Lindoro spigliato e simpatico, pronto a presidiare la scena. Vocalmente tuttavia sta un po' a mezzo servizio: i fiati sono ben controllati, e ben appoggiati; il timbro accattivante; solo il fraseggio pecca sovente di poca espressività, e le nuances, le mezzevoci si perdono nel mare delle buone intenzioni. Andrea Vincenzo Bonsignore è un Taddeo duttile e musicalissimo, con una comicità arguta e mai troppo caricata. William Corrò è un ben caratterizzato e colorito Haly; Martina Bortolotti è una tenera Elvira; Chiara Brunello è Zulma. Il primo cast vede allineati Chiara Amarù, Antonino Siragusa, Omar Montanari, Giulia Bolcato.

Visto il 26-03-2019
al La Fenice di Venezia (VE)