Prosa
LO STRANO CASO DEL DOTTOR JEKYLL E DEL SIGNOR HIDE

Jekyll e Hyde: fotogrammi di un’indagine

Jekyll e Hyde: fotogrammi di un’indagine

Quando nel 1886 Robert Louis Stevenson concepisce il suo “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” probabilmente in quel momento non pensa di star dando vita a uno dei primi esempi di letteratura fantastica, così come stato etichettato più tardi. Nella sua mente e nella sua penna scorrono immagini e suggestioni che attingono più ad alcune sfere tardo-romantiche, unite a nuovi fremiti dati dalle neonate scienze della psicologia e dallo studio della mente umana. I due straordinari personaggi di Henry Jekyll e di Edward Hyde, che popolano Londra e i suoi abitanti di strani e agghiaccianti accadimenti notturni, contrapposti alle morigerate e sobrie vite dei personaggi di giorno, si affrontano senza tregua in un duello infinito tra Bene e Male, tra istinto e ragione, all’interno di un singolo individuo, che non è più “veracemente uno”, bensì “veracemente due”, e di fatto trasformano questo testo letterario in una potenziale macchina da teatro.

La sfida l’hanno raccolta le associazioni “Gli Arpagoni” e “Novembre” che dall’adattamento teatrale dell’opera alla realizzazione di scene, luci e costumi hanno circondato il lavoro del regista e dei numerosi attori di una solida cornice in cui far muovere, come un ritmo sincopato, fuori e dentro il palcoscenico, passando per la platea, spesso a lume di lucerna, ancora più spesso nel buio, i personaggi avvolti in grandi mantelli e resi riconoscibili dalle loro stesse fisionomie.
In questo senso il lavoro di regia e di comprensione del testo ha funzionato molto bene e ha permesso al pubblico di entrare appieno nelle nebbiose atmosfere di una Londra glaciale, bagnata appena da lampioni e luci fioche di appartamento (eccellente il disegno luci di Giovanna Bellini), in cui ogni evento – dalle elucubrazioni degli scienziati e degli amici di Jekyll messi in gioco, agli efferati delitti compiuti “fuori”, su una panchina romanticamente drappeggiata di foglie secche, fino agli esperimenti segreti del laboratorio – viene disposto in una messinscena di quadri, come una serie di scene in dissolvenza diretta. È proprio questo stile, semplice e netto, a ricordare la scrittura e gli intenti stevensoniani, volti più all’indagine scientifica sobria e severa, che concede poco ai deliri e alle deformazioni psicologiche.
Più dolenti le note relative alle interpretazioni dei giovani attori che in parte mancano il bersaglio. Se Massimo De Vincenzo con intelligenza sa richiamare con pochi e incisivi tratti del volto e della voce un convincente Hyde, anche e soprattutto nelle ultime scene, dove l’umanità nascosta del “mostro” viene fuori, non gli si contrappone in credibilità Diego Migeni, il cui avvocato Utterson, fedele amico di Jekyll, rimane freddo e fondamentalmente poco convincente. Edoardo Sala esegue con mestiere e semplicità il suo maggiordomo Poole, ma decisamente più interessanti, anche se non privi di sporcature e di incertezze – dovute probabilmente a una tecnica ancora da rodare – i tormentati ruoli di Jekyll di Sebastiano Gavasso, e di Lanyon in cui lo stesso regista Andrea Teodori si ritaglia un piccolo ruolo di composizione. Rimangono più sullo sfondo ma comunque volenterose le performances di David Tagliaferro (Richard) e di Giorgio Di Donato (il grafologo Guest), mentre tra le figure femminili di Eleonora Cucciarelli e di Giulia Gallone, quest’ultima sa conquistarsi la platea nel suo breve monologo di testimone di uno dei delitti.

Visto il 21-09-2010
al Trastevere di Roma (RM)