Nuda sulla scena, il corpo illuminato da una luce bluette oppure rossastra, in piedi davanti ad un microfono oppure sdraiata su un cumulo di sabbia o bagnata dall’acqua di una piccola piscina costruita su un lato del palcoscenico, Mariangela Granelli è la Medea voluta da Carmelo Rifici che firma la regia di “Materiali per Medea” di Heiner Müller, in scena al Teatro Sala Fontana dal 13 al 17 novembre.
Uno spettacolo morto forte, emotivo, che scegli e una comunicazione con il pubblico attraverso un linguaggio multimediale, partendo da quello strettamente teatrale della recitazione collegata ai testi letterari a cui si fa riferimento, fino ad arrivare all’interazione con la proiezione di video nei quali vediamo, oltre lo sdoppiamento della protagonista stessa, anche una platea di spettatori che a sua volta assiste ad uno spettacolo. A dominare è comunque il linguaggio del corpo dell’attrice, che in alcuni momenti viene a sostituire la parola, mettendo in evidenza il tema della nudità come rito pagano.
La drammaturgia dello spettacolo si basa dunque su una sovrapposizione di diversi linguaggi che fanno riferimento alla stratificazione di tre diversi esperimenti poetico di Heiner Müller, considerato il più controverso scrittore dell’ex Ddr celebre drammaturgo oltre che intellettuale tedesco per molti anni direttore artistico del teatro brechtiano Berliner Ensemble. Uno dei pochi autori teatrali a essere insignito del Premio Europa per il Teatro. Nello specifico i testi a cui il regista fa riferimento sono quelli della trilogia di “Riva abbandonata”, “Materiale per Medea” e “Paesaggio con argonauti”.
Il filo conduttore è quello del dramma di Medea, donna tradita, abbandonata dal marito e che per di più è considerata una straniera, una diversa, una tragedia personale che attraversa tempi diversi e fa di Medea una figura universale sulla quale vengono a sedimentarsi materiali diversi e contraddittori.
Il tentativo è quello di far emergere i legami tra il passato e il presente, tra il mito e la storia e tra la visione antica e moderna della società. Il mito della sacerdotessa della Colchide diventa dunque il pretesto per parlare del tradimento del mondo capitalista contro il terzo mondo fino ad arrivare alla catastrofe sociale creata dalle guerre nel bacino del Mediterraneo. Carmelo Rifici cerca di mettere in evidenza come i testi dello scrittore e drammaturgo tedesco intendano funzionare come provocazione di flussi emotivi oltre che contenutistici.
Questa stratificazione di linguaggi visivi e verbali diversi, a tratti però confonde lo spettatore la cui attenzione in alcuni momenti, come per esempio in quello in cui l’attrice interpreta una sorta di ballerina da cabaret sado – maso, va a cadere maggiormente più l’aspetto estetico e non contenutistico della rappresentazione, pur comprendendo la scelta provocatoria del regista.
Una grande prova di attrice quella di Mariangela Granelli, che non a caso nel 2007 ha vinto il premio della Critica come migliore attrice emergente. Interpreta il personaggio con forte carica emotiva passando come grande bravura dall’immedesimazione allo straniamento, incarnando molto bene una donna senza tempo tradita e ingannata, recitando con intensità anche quella parte molto difficile del testo che Muller aveva scritto completamente senza punteggiatura.
Teatro Sala Fontana dal 13 al 17 novembre