Personaggi che vivono ai margini di una metropoli distratta ed oppressiva, con i loro incubi, le loro manie ed i loro egoismi, essi si incontrano e si scontrano nel traffico, al lavoro, alla fermata dell’autobus, o vivono rinchiusi nel guscio delle loro case. Questi i personagi scritti ed interpretati da Eleonora Danco nel patchwork di monologhi intitolato “Me vojo sarvà”, uno spettacolo che l’attrice-autrice porta in giro per l’Italia, dopo il debutto all’Ambra-Jovinelli di Roma diretto da Serena Dandini. La Danco, nota al grande pubblico per le numerose incursioni nella finction televisiva, ma che vanta partecipazione anche in film di autori come Bertolucci e Scola, si impegna quindi nel non facile compito di portare in scena da sola i monologhi scritti da lei, interpretando perciò una miriade di personaggi,che nelle sue intenzioni di autrice, immaginiamo debbano avere personalità e caratteristiche diverse fra loro, pur legati dal comune fattore denominatore della frustrazione. La cosa però le riesce con scarsi risultati. Infatti l’attrice appare troppo fragile ed immatura per poter sostenere un siffatto compito, e l’impresa appare un tantino presuntuosa, tenendo presente che, pur partendo da spunti indubbiamente interessanti, i monologhi risultano poco originali, e non tutti riusciti. Presuntuosa appare nel suo voler interpretare uomini, donne, giovani, meno giovani, borgatare, borghesi, mentre sul palco, in realtà, vediamo lei, solo lei, e non i suoi personaggi.
Se la forma di monologo rappresenta una vera e propria prova d' attore, in questo caso interpretarne tanti nello stesso spettacolo risulta un'impresa assolutamente impossibile.