Prosa
MEMORIE DAL SOTTOSUOLO

La metafora del Sottosuolo tra parola e negazione

La metafora del Sottosuolo tra parola e negazione

Non vi è immagine più potente di un Sottosuolo, specie nel teatro, destinato per geografia e intenti ad avvicinarcisi nel più realistico dei modi. Quando poi lo stesso quadro di apertura rappresenta un uomo rinchiuso in una “prigione” sotterranea appunto, la suggestione è innegabile. Nel romanzo di Dostoevskij il sottosuolo altro non è se non la costrizione mentale cui il protagonista, Ivan, si costringe per la sua incapacità a rapportarsi con il prossimo, come egli stesso dirà nel lungo monologo-confessione iniziale, pretesto per una riflessione molto più accorata e profonda sulla condizione umana. Lo scrittore russo usa la letteratura come specchio della filosofia, ponendovi in mezzo i suoi personaggi, immagini viventi della speculazione tra etica e libertà, tra religione e positivismo, tra vita e immobilità.
Ivan non fa eccezione alla regola e la sua vita, che egli stesso ripercorre, è un lungo tormento tra decisioni non prese, giustificazioni, e la ricerca di un’elevazione impossibile oltre il peccato e il limite umano.

Il regista Roberto de Robertis, insieme con l’attore Pietro Naglieri (Ivan), adatta la pièce dostoevskiana focalizzando l’azione scenica nei due momenti topici del monologo iniziale di Ivan e dell’incontro precedente con Lisa, la prostituta. Chiuso in un personale sottosuolo suggestivamente sottolineato da bianche sbarre di stoffa che ne costringono i passi e la visione in pochi metri di libertà, l’eroe di questa pièce è un uomo che pensa molto e agisce poco, limitato appunto da una gabbia che gli impedisce una relazione normale con il prossimo, come si vedrà nella sequenza successiva, quando alle parole segue il ricordo di un tentativo di azione nel tumultuoso e rapido rapporto con l’ingenua e pura Lisa, per lui inavvicinabile e per questo umiliata e rifiutata. Questo fallimento, al contempo questa conferma della necessità del “compiacimento” delle proprie azioni specie quando volte alla scelleratezza, lo porta a ricadere nel sottosuolo che egli stesso ha creato ma lontano dal quale non sarà mai in grado di vivere.
La scena, divisa da luci e spazio scenico delimitato dalla “gabbia” di Ivan da una parte e dal letto di Lisa dall’altra, rimanda tuttavia ad una regia che, se ha saputo immediatamente, prepotentemente evocare il pensiero dostoevskiano in un’immagine semplice e innegabile, quella della costrizione fisica e mentale, non riesce tuttavia a penetrarlo completamente, dimostrandosi meno convincente proprio nella costruzione dei due personaggi. Cupo e diretto, ma in qualche modo artificioso e sopra le righe, Pietro Naglieri è obbligato a un vero e proprio tour de force espressivo tutto giocato sulla forza, sulla rabbia di parole e intenzioni, senza riuscire a toccare l’umanità e il tormento tutto interiore dell’Ivan russo. Non va molto meglio alla Lisa di Manuela Miscioscia cui, per la verità, non viene richiesto tanto, se non una bella presenza e moti di sofferenza peraltro giocati solo esteriormente; del resto l’analisi dostoevskiana della miseria umana e dalla bellezza che nasce dalla possibilità di redenzione in un personaggio come il suo sono sicuramente oltre le forze e le capacità di un’attrice ancora così acerba.
 

Visto il 22-10-2010
al Casa delle Culture di Roma (RM)