Prosa
MEMORIE DI ADRIANO

La plasticità della memoria: …

La plasticità della memoria: …
La plasticità della memoria: questa la cifra più evidente della splendida messinscena di “Memorie di Adriano” allestita da Maurizio Scaparro, spettacolo di cui è protagonista un Albertazzi quanto mai sobrio e misurato che, a diciassette anni dalla prima replica messa su nella villa Adriana di Tivoli, sembra recitare le parole della Yourcenar con inattesa autenticità. Definire la riduzione per il teatro di Jean Launay alla stregua di un’autobriografia apocrifa e drammatizzata dell’imperatore Adriano sarebbe senza dubbio riduttivo, così Albertazzi dà voce ad un personaggio che, approssimandosi con lucida consapevolezza agli ultimi giorni della sua vicenda mortale, si impegna in un complesso bilancio esistenziale che investe gli aspetti più intimi della propria attività politica e della propria storia privata. Le parole di Adriano, le sue riflessioni, i suoi sogni e le sue paure acquistano, mercé la vibrante interpretazione di Albertazzi, una fisionomia assolutamente mobile, non sono tratti di un’istanza biografica sospesa tra il reliquario arcadico e l’armonica consonanza classicistica, quanto piuttosto segni riconoscibili di una sensibilità universale, forme attendibili di un’immaginario attuale, sempre vivo al di là di qualsiasi disposizione antiquaria. L’immagine di Adriano si staglia nella sua problematicità emotiva sul fondo scabro di una scena quasi nuda ed esprime la propria inclinazione ai comportamenti estremi, in questo l’Augusto si fa sodale d’ogni individuo che, eludendo gli inganni della sorte e le inique circostanze dei propri tempi, affronta la vita con la curiosità intellettuale di chi non si appaga d’alcuna lettura sistematica ed inerte delle cose del mondo: "Io ho occupato volta a volta tutte le posizioni estreme, ma non vi sono rimasto, la vita me ne ha fatto sempre slittare". La voce di Albertazzi/Adriano diventa intensa e commossa quando, denunciando l’atrocità incipiente del caos, comunica l’esigenza di contrapporvi la radicata cultura del pensiero occidentale, la speranza di una sopravvivenza affidata alla saggezza dei valori condivisi: "sopravverranno le catastrofi e le rovine, trionferà il caos ma, di tanto in tanto verrà anche l’ordine, non tutti i nostri libri periranno, si restaureranno le nostre statue infrante, altre cupole ed altri frontoni sorgeranno dai nostri frontoni, dalle nostre cupole, vi saranno uomini che penseranno, lavoreranno e sentiranno come noi". Con grande sensibilità psicologica, Albertazzi/Adriano si abbandona alla sofferta rievocazione della personale vicenda erotico-sentimentale, analizzando la contraddittoria natura e l’astruso destino della passione che, in lui, prende le languide forme del prediletto giovane Antinoo di cui, morto nel fiore degli anni, l’imperatore dirà "non l’amavo di meno, l’amavo, anzi, di più; ma il peso dell’amore, come quello di un braccio teneramente posato sul petto, a poco a poco si rendeva pesante" . Ed infine, dalla eterna plastica suggestione del ricordo alla plasticità lirica del verso eterno, il canto di Animula vagula blandula accompagna gli ultimi istanti di Adriano sulla scena del mondo e riga gli occhi degli spettatori (mica cuori di pietra)di lacrime deliziose. Napoli, Teatro Bellini, 14 novembre
Visto il
al Astra di Schio (VI)